Lo scorso 2 ottobre si è aperta la seconda sessione del Sinodo dei vescovi. Sarà per la durata eccezionalmente lunga, sarà per il ripetersi di alcune parole usate come slogan, sarà perché sembra affrontare questioni “di nicchia”, fatto sta che sulle ragioni del Sinodo ci voleva una bella spolverata, ed è quello che ha fatto il Papa, nel discorso di apertura di questa fase finale, mercoledì scorso.



Anzitutto il richiamo è andato al significato dell’espressione “sinodale” riferito alla Chiesa, sottolineando che si tratta di un invito a “uscire da sé stessa e abitare le periferie geografiche ed esistenziali avendo cura di stabilire legami con tutti in Cristo nostro Fratello e Signore”. Siamo di fronte alla natura stessa della Chiesa, che non è stata pensata come un recinto sigillato dove vivere di ricordi o di sogni, ma come una casa dalle porte sempre aperte che permetta all’uomo di essere incontrato nel suo vero bisogno. Non un laboratorio per addetti ai lavori, ma un abbraccio in cui le domande di ciascuno siano guardate. Del resto non possiamo ridurre a slogan termini come “missione”, “periferie”, “legami”. Se appena entriamo nel cuore di queste parole, e ne scopriamo tutta la portata, non può che accendersi in noi un impeto per vederle accadere nella vita.



Il Papa, facendo riferimento senza sosta allo Spirito Santo e alla sua azione – come vero protagonista della vita della Chiesa –, ha insistito poi su un’espressione molto particolare: “misericordiati”: “Siamo in cammino, come dei misericordiati, verso il pieno e definitivo compimento dell’amore del Padre”. Dio ci ha preferiti, ci ha scelti e chiamati, questo è il cuore di ogni autentica mossa del cristiano nel mondo. Facciamo un passo nella realtà perché Cristo ha fatto tutti quelli possibili verso di noi, fino al vertice, fino alla misericordia, al di fuori della quale “non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani” (san Giovanni Paolo II, Cracovia-Łagiewniki, 2002).



Quello della divina Misericordia è un dono tutto da scoprire. Fino a quando, nella vita, non ne sperimentiamo il soccorso, come una mano tesa a uno che sta affondando nelle sabbie mobili, non riusciamo a intuire tutta la potenza della sua azione, e la decisività di ricorrervi appena il cuore ne domanda l’aiuto. Su questo il Papa usa parole anche dure: “Un sedicente cristiano che non entri nella gratuità e nella misericordia di Dio, è semplicemente un ateo travestito da cristiano. La misericordia di Dio ci fa affidabili e responsabili”.

Da ultimo una delle questioni che, per certi versi, non si riesce a risolvere del tutto: l’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Papa Francesco la affronta con efficacia: “Il Vescovo, principio e fondamento visibile di unità della Chiesa particolare, non può vivere il proprio servizio se non nel Popolo di Dio, con il Popolo di Dio, precedendo, stando in mezzo, e seguendo la porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata. Questa comprensione inclusiva del ministero episcopale chiede di essere manifestata e resa riconoscibile evitando due pericoli: il primo, l’astrattezza che dimentica la concretezza fertile dei luoghi e delle relazioni, e il valore di ogni persona; il secondo pericolo è quello di spezzare la comunione contrapponendo gerarchia a fedeli laici. Non si tratta certo di sostituire l’una con gli altri, eccitati dal grido: adesso tocca a noi! No, questo non va: ‘adesso tocca a noi laici’, ‘adesso tocca a noi preti’, no, non va questo. Ci è chiesto invece di esercitarci insieme in un’arte sinfonica, in una composizione che tutti accomuna nel servizio alla misericordia di Dio, secondo i differenti ministeri e carismi che il vescovo ha il compito di riconoscere e promuovere”.

Questione di difficile soluzione perché, di fatto, affrontata ancora con le lenti degli anni 60 e l’ostilità lì nata contro ogni forma di paternità. Il ritorno al battesimo resta l’unica strada, non solo per evitare i rischi che tutti conosciamo, ma soprattutto per godersi la sinfonia generata dallo Spirito Santo. Ritornare al battesimo significa andare a fondo della propria vocazione e scoprire lì la possibilità del nostro compimento, altrimenti uno la cercherà sempre altrove. Non è il ruolo che ci mette in salvo, sigle o incarichi che riusciamo a raggiungere, ma l’autorevolezza che solo “padri” e “madri” possono suscitare. Tutta un’altra questione!

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