Il Governo tedesco non ha resistito alla prova della Legge di bilancio 2025 e la Germania si accinge addirittura a rare elezioni anticipate. Può sembrare un paradosso che a non quadrare i conti della propria finanza pubblica – cioè della propria politica tout court – sia l’Azienda-Paese più grande dell’Ue; quella che dagli accordi di Maastricht fino alla crisi geopolitica non ha mai accusato squilibri economico-finanziari seri. Semmai li ha scaricati all’esterno, anzitutto sugli altri Paesi-membri.
A loro la Germania ha sempre imposto il proprio rigore finanziario ideologico, tanto che a Berlino il pareggio di bilancio è stato infine codificato nel bronzo della Costituzione. Ed è stato poi mantenuto come misura dei parametri di stabilità dell’Unione: rimodulati ma non superati dopo la sospensione dovuta alla pandemia. Nel frattempo anche l’altro big dell’Unione – la Francia – sta faticando nel chiudere la manovra, stretta fra i sismi politico-economici interni e internazionali e le regole tecnocratiche immutate: anche per un Paese che non ha mai dovuto preoccuparsene in passato, benché i fondamentali siano in peggioramento da molti anni.
Il merito delle rispettive crisi ha certamente il suo rilievo. La Germania in recessione deve in realtà ricostruire da zero il proprio modello industrial-centrico, colpito duramente dalla fine dell’energia a buon mercato di provenienza russa e delle incertezze sull’export nel mercato cinese. La sfida della sostenibilità climatica – che pareva prioritaria per un Governo con i Verdi in coalizione – è bruscamente stata emarginata: anche dall’esigenza di rilanciare produzione e spesa militare. Idem in Francia: che può far leva su una propria industria nucleare, ma deve rispondere subito alle esigenze di famiglie e piccole imprese impoverite dall’inflazione. E da un sistema previdenziale mai riformato.
Negli altri venticinque Paesi dell’Unione la situazione non è diversa: neppure in Italia, dove la Legge di bilancio è in fase di aggiustamento parlamentare e le agenzie di rating confermano la relativa calma dei mercati sul debito della Repubblica. Anche Roma sembra in una fase di attesa: anzitutto dell’insediamento imminente della nuova Commissione Ue. Sarà Ursula von der Leyen a reimpostare una politica economica e finanziaria dell’Unione in una fase storica completamente nuova. Ha sul tavolo il Rapporto stilato da Mario Draghi sulla competitività dell’Europa. Con una raccomandazione perentoria: sciogliere gli indugi e progettare un “Salva Europa” non più emergenziale come il Recovery Plan post Covid. E serve – urge – un vero ministro delle Finanze Ue. Ventisette manovre (come ventisette Pnrr) scritte separatamente e consegnate a Bruxelles per verifiche formalmente tecnocratiche e sostanzialmente politiche a seconda della forza relativa (passata) di Germania e Francia non hanno più senso.
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