Spesso le giornate passano travolte da mille cose. Con le giornate anche le settimane, i mesi e gli anni. Tutto sembra avvolto da una rete da cui non si riesce a liberarsi, in una marcia che non possiamo arrestare. Un’amica, qualche giorno fa, mi confidava che talvolta le sembra di vivere come in mezzo all’autostrada: a destra e a sinistra le macchine corrono e tu non ti puoi muovere. Persino le cose belle che viviamo possono trasformarsi in un grande impegno a cui far fronte, ennesimo dazio da pagare per rimanere sulla cresta dell’onda.



È come se la realtà non avesse più un centro, un cuore, attorno a cui ruotare. Capita così di cadere nel disperato tentativo di essere noi quel centro, e ci logoriamo. Oppure ci rassegniamo alla dispersione, in una vita totalmente agitata.

Ecco perché, con un linguaggio che non lascia spazio a equivoci, nel Vangelo di questa domenica Gesù propone se stesso come il centro e il cuore. Il punto umano storico in cui si danno appuntamento le attese delle profezie antiche e il destino del mondo. “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13, 26), dice Gesù, che è il Figlio dell’uomo. In mezzo all’oscuramento del sole e della luna, al cadere delle stelle, allo sconvolgimento delle potenze dei cieli, Cristo si pone come il punto fermo definitivo. Come lo definì san Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica Redemptor hominis: “Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”.



Avviene nella vita, accade nella storia, ci sorprende nel quotidiano questa Presenza a cui ci si può attaccare per non essere travolti dalle circostanze. Davanti a Lui tutto ritrova il suo ordine e il suo significato, persino le cose più faticose. Il grande poeta Mario Luzi lo scrisse in modo efficace nella poesia A volte si tocca il punto fermo e impensabile: “A volte si tocca il punto fermo e impensabile / dove nulla da nulla è più diviso, / né morte da vita / né innocenza da colpa, / e dove anche il dolore è gioia piena. / Sono cose, queste, che si dicono per noi soltanto. / Altri ne riderebbero. / Ma dire si devono. Le annoto / per te che le sai bene e per testimonianza dell’amore eterno”.



Certo, possiamo raccontare di questo centro solo a chi “sa bene” di cosa stiamo parlando, per altri sarebbe incomprensibile. E così, il fatto stesso di essere capiti, di avere qualcuno a cui poter parlare senza che lasci cadere quello che diciamo, diventa la prova più vera che non siamo condannati all’agitazione. “Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc 13, 27) continua il Vangelo, come a voler disegnare il quadro finale, a descriverne i connotati, quelli di un’unità e una compagnia finalmente compiute e realizzate da Lui, senza forzature, senza pretese, senza raggiri, ma con la definitiva con-vocazione operata dai suoi angeli. Gli stessi che ora, nel tempo provvisorio, non sanno più cosa fare per con-vocare il nostro cuore, per farci aprire gli occhi, per ridonarci la certezza che il Punto fermo c’è e che possiamo camminare lieti, persino nelle prove, sgravati dalla presunzione di dover vivere da eterni supplenti.

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