La Colletta Alimentare nazionale, che ogni anno si svolge in uno degli ultimi sabati di novembre, non è soltanto un gesto di carità, ma un fatto culturale, un giudizio umano e politico che ostinatamente si ripropone all’attenzione della società e del cuore di ciascuno. Questi anni che traghettano il secolo dal suo inizio alle sue espressioni più mature si contraddistinguono sia per una clamorosa rottura degli equilibri faticosamente costruiti al termine del secondo conflitto mondiale, sia per una radicale ridefinizione dei valori – e quindi delle priorità – della convivenza civile in Occidente. Questa duplice rottura, degli equilibri e dei valori, ha preso diversi nomi nel contesto della discussione culturale, da “cambiamento d’epoca” ad “età dell’incertezza”, manifestando tuttavia un unico grande carattere trasversale: l’uomo di oggi si trova più confuso, più smarrito, più solo.
La libertà che i diritti e i valori promettono non ha reso le persone più felici, ma più in balia della storia. Per usare un felice esempio portato da don Luigi Giussani, si potrebbe dire che il venir meno del legame solido con una “x” che trascende il cerchio degli avvenimenti del nostro tempo, non ha liberato nessuno dal giogo del dolore e della fatica, ma ha lasciato tutti in balia del cerchio. Dinnanzi alla velocità con cui questo fenomeno è avvenuto, velocità impressa dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione, la reazione comune è stata il venir meno della fiducia, l’ascesa del sospetto come virtù sociale. Chi si fida oggi, davvero, della scuola, del sistema sanitario, della giustizia, della politica? Chi si fida fino in fondo delle relazioni, del futuro, del bene?
Quando non ci si fida, l’unica cosa che resta è trattenere quel poco che si ha, conservare quel che si può conservare, opporre alla violenza dei tempi la violenza della resistenza. Le ideologie oggi si nutrono di questa nuova polarizzazione tra chi vorrebbe spingere alle estreme conseguenze il nuovo disordine umano e chi, al contrario, vorrebbe poter rimettere tutto in ordine, come se quanto accaduto fosse solo un colpo di vento in una stanza perfettamente ordinata.
La Chiesa di Roma, il cattolicesimo nel suo essere corpo sociale, subisce questo processo ed è a sua volta come un attore impotente che ha smarrito il copione durante un importante spettacolo. La Colletta Alimentare è come se rimettesse in mano al mondo cattolico questo copione. Un copione che, sorprendentemente, non è riservato solo ai credenti, ma è una proposta per tutti: davanti al mondo che cambia la strada non è “buttare tutto all’aria” né trattenere quel che si ha, ma dare, donare.
Milioni di persone ogni anno seguono, almeno per un giorno, questa ipotesi sovversiva, sostenuta dall’entusiasmo e dalla semplicità di migliaia di volontari, grandi e piccini, giovani e anziani, organizzati in associazioni o semplici cittadini che escono dal tepore autunnale delle loro case per spendersi. Nella Colletta Alimentare c’è una libertà e un bene che è alla portata di tutti, che è un giudizio su questi anni.
Il mistero grande, infatti, è come è possibile che un gesto del genere regga al passare impietoso delle epoche. Perché fare la spesa per chi è più povero non passa mai di moda? Anche qui viene in aiuto don Giussani quando, in un suo scritto celebre sulla carità, ricorda che il cuore dell’uomo è fatto per donare, è fatto per dare. La Colletta Alimentare non propone una complicata risposta fatta di alchimie politiche o sociali da interpretare per sopravvivere a questi ruggenti anni Venti, ma ripropone quello che è più umano, più vero: il dono come modalità di abitare la storia. Non si risponde al declino con le strategie, ma ritornando a darsi, a donarsi.
È la strada che ha scelto Dio per abbracciare l’umano: donarsi, farsi uomo, per raggiungere tutto, per diventare amico di tutto, per offrire salvezza a tutto. Il giudizio non sta in quello che uno fa, il giudizio sta in quello che uno è. La Colletta ricorda a tutti che Dio è amore, Dio è misericordia, che la strada per riparare i torti e le violenze di questo pianeta non sta nella sapienza dell’uomo, nella sua furbizia, ma nella semplicità del rimanere umani, del saper comprare del tonno per chi il tonno non ce l’ha.
Naturalmente non basta questo gesto per costruire quella società dell’amore che auspicava Giovanni Paolo II, ma senza quel sabato di novembre che ogni anno travolge la vita di tanti che per qualche ora ritornano all’essenza del loro desiderio e del loro cuore, noi non saremmo soltanto più poveri, non saremmo soltanto più privi di ulteriori strumenti di supporto sociale, ma saremmo più soli, più disperati. Ci ritroveremmo incapaci di perdonare questa notte della storia, di attendere per tutti un cenno, un bene, un inizio. Qualcosa che gli uomini – un tempo – chiamavano Natale.
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