Si sta tornando a una certa normalità, ma la Spagna continua a essere scossa dalle alluvioni di Valencia. Si contano più di 215 morti e la devastazione di interi centri abitati inondati dal fango che ha travolto il cuore dell’intero Paese. È stata questa la cornice in cui è stato presentato l’ultimo libro di Julián Carrón (“No hemos visto nada igual” – “Non abbiamo mai visto nulla di simile”). Le reazioni alle sofferenze causate dall’alluvione confermano quanto sottolineato dal teologo spagnolo nel suo testo: le evidenze che una volta sostenevano la vita sono svanite. Lo hanno confermato i due relatori che, insieme all’autore, hanno partecipato al dibattito svoltosi a Madrid. Luis Argüello, Presidente della Conferenza episcopale spagnola, si è riconosciuto nella diagnosi di Carrón. Antonio García Maldonado, scrittore e collaboratore in uno dei ministeri del Governo Sánchez, ha affermato che l’Illuminismo ci ha permesso di imparare molte cose: abbiamo una scatola piena di strumenti, ma non sappiamo a cosa servono.
Da dove ricominciare in questa situazione di crisi? Argüello ha raccolto la provocazione di Carrón: si può ripartire “dall’io e dal suo mistero, da un io che appartiene a un popolo”. È stato sorprendente che nella presentazione sia l’arcivescovo che lo scrittore, che non è credente, si siano riconosciuti nell’esperienza del libro. “Julián Carrón – ha detto Garcia Maldonado – descrive ciò che ho voluto raccontare nel mio lavoro”. I due sono concordi nel sottolineare che in questo mondo “è possibile un’alleanza tra cercatori di significato”. “Siamo tutti alla ricerca di un senso nella vita”, ha indicato lo scrittore. Carrón ha sostenuto che le provocazioni della realtà, sia sotto forma di un’alluvione, di una pandemia, sia con eventi che non devono essere necessariamente negativi, possono essere un’opportunità di crescita per l’io di cui parlava Argüello. O cresce l’io, oppure restano solo quelle che l’arcivescovo ha chiamato “le strategie del potere, la dialettica degli opposti”.
La Spagna non è un luogo dove le differenze tra chi crede e chi non crede si superano facilmente. L’arcivescovo, raccogliendo anche alcuni passaggi del testo, ha spiegato che, purtroppo, spesso non è apparso chiaro che solo attraverso la libertà si può accedere alla verità. L’alleanza tra trono e altare, che secondo Argüello non è stata del tutto superata, implica un inconveniente.
Che tipo di esperienza alimenta “No hemos visto nada igual” per consentire il riconoscimento da parte di persone così diverse? Carrón lo ha descritto con parole precise: “Un tipo di esperienza cristiana che dilata la ragione, un avvenimento che tocca il profondo della persona”. Una fede che esalta l’umanità di chi crede e che è quindi in grado di essere significativa per la grande sfida del momento: la dissoluzione delle evidenze che il cristianesimo a suo tempo aveva generato. Un cristianesimo che fa della secolarizzazione un’opportunità.
Non serve difendere spazi sicuri dove si conserva la fede, né costruire muri, né affermare enunciati veri ma astratti. Per questo è necessario valorizzare l’altro come essenziale per il proprio sviluppo; è necessario il dialogo, espressione costitutiva dell’esperienza cristiana vissuta nella sua verità; è necessario non aver paura del desiderio umano, condividere con simpatia quello di tante persone che cercano sinceramente una risposta dopo sconfitte ideologiche e personali.
La conversazione è terminata con una conclusione forte. Solamente quando il cristianesimo provoca la stessa reazione che ebbero i discepoli – “Non abbiamo visto nulla di simile” – permette di superare la paura e può risultare interessante. “È una questione di stupore”, ha sottolineato Argüello. Una formula semplice alla portata di tutti.
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