Trentacinque anni fa il problema di una figlia disabile non è affrontato individualmente, ma è l’occasione per far nascere Cura e Riabilitazione, una cooperativa sociale oggi cresciuta la punto tale da essere una realtà di punta del mondo dell’assistenza. Il segreto è ascoltare il bisogno e i desideri di chi è assistito perché sia al centro delle attenzioni. Ne nasce qualcosa di confortevole e vero.
Tutto nasce da una domanda. Un gruppo di amici prende sul serio il bisogno di una famiglia con una figlia disabile e, sostenuti dall’intuizione educativa di un sacerdote, don Fabio Baroncini, costituisce la Cooperativa Sociale Cura e Riabilitazione (Milano,1989).
Fin dall’inizio era chiaro che il servizio doveva essere in funzione della persona e non viceversa costruendo luoghi e proposte a partire dalle richieste incontrate. A riprova di ciò l’azzardo (nel 1994!) di realizzare solo frequenze part-time e non a tempo pieno (proposta allora sorprendentemente ben compresa e accettata dalle famiglie e con una ricaduta economica clamorosa: al costo di 15 a tempo pieno erano accolte il doppio delle persone part-time) e poi a seguire, dopo questa breve parentesi, la differenziazione dei servizi a seconda dei bisogni incontrati: Cdd, Cse, Sfa, assistenza domiciliare, servizio di orientamento e aiuto alle famiglie, residenzialità temporanea, residenzialità stabile, fino al più recente centro educativo per minori con disabilità (minori per la maggior parte con diagnosi di autismo).
Questo perché si è sempre cercato di dare spazio di azione a un pensiero educativo che vuole favorire la piena valorizzazione delle risorse della persona disabile e non anestetizzarle all’interno di un servizio dove occupare il tempo, fare “lavoretti”, tirare sera, rischiando di scadere inevitabilmente in una logica assistenziale: tenere alta l’offerta educativa per essere all’altezza del bisogno di pienezza dei nostri ragazzi e non accontentarsi di intrattenerli o distrarli per qualche ora.
Questa la vision della Cooperativa: educare, cioè promuovere, sostenere e curare a partire dal desiderio dei nostri ospiti, non nonostante la disabilità, ma attraverso la propria condizione di vita.
Oggi accogliamo ospiti dai 4 ai 65 anni attraverso 4 centri diurni, 3 servizi residenziali, 1 domiciliare, 1 case management (tutti servizi accreditati e in convenzione con l’Ente Pubblico, fino agli ultimi realizzati in co-progettazione con le amministrazioni locali come il Centro Educativo Panduji di Rho e Casa Jannacci di Milano) e numerosi progetti di inclusione (grazie anche a risorse reperite con l’attività di ricerca fondi).
Accompagniamo in questo modo gli ospiti negli oltre 165 progetti individuali a riconoscere le proprie competenze, sostenendo il loro desiderio di realizzazione. Siamo poco meno di un centinaio di lavoratori tra educatori professionali, pedagogisti, operatori socio sanitari, psicologi, medici, infermieri, ausiliari, fisioterapisti, musicoterapisti, arteterapisti, danzaterapisti, amministrativi, progettisti, consulenti e soci volontari. Ma non saremmo quello che oggi siamo senza ogni singolo incontro fatto: persone ed enti che ci hanno incoraggiato a guardare attraverso il limite, a investire in progetti concreti, ad aprirci al lavoro di rete. Per questo la prima “attività” è costruire una relazione capace di favorire l’iniziativa di ognuno orientata verso la soddisfazione reciproca di educatori e ospiti. L’esperienza di questi anni ci ha detto che nessuna disabilità è un impedimento al desiderio di realizzazione e di soddisfazione.
L’incontro con i nostri ospiti si è andato via via sviluppando attraverso una proposta di rapporto con la realtà capace di rispondere al bisogno di bellezza, di cura, di dignità: per questo abbiamo promosso esperienze nel mondo del lavoro anche per chi non rientra tra i collocabili; abbiamo portato più di 30.000 spettatori a vedere compagnie di 70 attori negli spettacoli teatrali “Il Gianburrasca”,” La Divina Commedia” e “I MiserAbili” realizzati con altre cooperative amiche; dal laboratorio di creta siamo passati alla presentazione della nostra specchiera al Salone del Mobile con una azienda di arredo; oggi i nostri ospiti sono ingaggiati nelle scuole in qualità di maestri d’arte per insegnare a lavorare l’argilla ai bambini, ma anche ai richiedenti asilo; più di 25 ospiti sono diventati volontari nella preparazione di scatole di alimenti per famiglie bisognose; abbiamo costruito una residenzialità temporanea che non strappasse i ragazzi dalle loro famiglie, ma li preparasse a un graduale distacco…
La frase “In ciò che manca una presenza” (don Luigi Giussani) ci ha accompagnato in questi anni in una continua scoperta e conferma della verità di questa affermazione, nell’evidenza sorprendente che il limite è una ricchezza perché indica il bisogno di cui siamo strutturalmente fatti. E i nostri ragazzi sono il segno più grande di questa evidenza. Un desiderio di bene (dell’ospite e del suo familiare) che chiede in alcuni casi di incontrare qualcuno capace di riaccenderlo e sostenerlo.
Trentacinque anni dopo la forza ideale dell’origine è ancora intatta e fortemente sollecitata da un contesto socio-culturale ed economico che ci sfida a riflettere: chi sono io per accompagnare la persona che ho di fronte? Tenere aperta questa domanda è la sfida di ogni giorno.
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