L’ultima rilevazione statistica del 2024 sulla produzione industriale (-3,6% mensile su base annua a novembre; – 3,3% cumulato nel 2024) non è stata esattamente natalizia: al contrario. Pesa la paralisi di un settore ancora importante come l’auto, ma è tutta la Fabbrica-Italia a rimanere in sofferenza, per quanto non aggravata rispetto a ottobre. Il freno resta tirato per altri comparti strategici come i beni strumentali e la moda. Un dato coerente – cioè non confortante – è arrivato anche dalla Banca d’Italia:, che segnala una contrazione dell’1,1% – in lieve peggioramento – per i prestiti concessi dal sistema creditizio al settore privato.



Quella che resta la seconda manifattura dell’Ue continua dunque a “galleggiare” con fatica, per usare la categoria metaforiche scelta dal Censis nel suo fresco Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Un’analisi – quella del 58esimo rapporto – che abbraccia tutti gli italiani, fotografandoli in una fase di paralisi forse più insidiosa di un passaggio traumatico, percepito in tutta la sua drammaticità.



Fra gli italiani sondati nei loro umori e nelle loro tendenze nel 2024 sono ancora numerosi quelli che il Censis intercettò mezzo secolo fa “sommersi” da un’attualità politico-economica resa tesa dall’inflazione a due cifre e dal terrorismo. Sono numerosi certamente i loro figli, molti dei quali proseguono oggi un’attività d’impresa fondata da zero dai loro genitori. Un’economia nuova poi “emersa” con prepotenza, consentendo all’Azienda-Paese di aggregarsi alla prima ondata dell’euro allo scadere del secolo.

Negli anni ’70 – due decenni prima dell’avvento massiccio di internet – la circolazione dell’informazione era enormemente meno ricca e veloce, ma questo evitava anche il diffondersi di una cultura “fake” che – ha denunciato il Censis – avvolge e inquina la società italiana odierna. E forse la crisi economica di lungo periodo – quella che colpisce la produttività e i redditi pro-capite in misura apparentemente incontrastabile  – è dovuta anche a un paradosso socio-culturale: l’iper-informazione (spesso di cattiva qualità) sommerge le “certezze” che il Censis identificò e consolidò in coscienza collettiva nei suoi primi rapporti.



Quell’Italia non era in fondo meno divisa al suo interno (forse anzi lo era di più) e meno premuta da fattori esterni, anche in un mondo non globalizzato. Però scoprì in se stessa una risorsa umana di grande strategicità: la capacità di far evolvere un dna fatto di laboriosità e propensione al risparmio in un’imprenditorialità diffusa, competitiva nella nascente globalità.

Forse non è missione proibitiva quella di riprendere a nuotare e non solo rimanere a galla. Il rischio di andare nuovamente sott’acqua c’è, ma il Sistema-Paese è “emerso” già una volta e la memoria non è certo andata perduta. Forse ce ne siamo dimenticati  troppo in fretta e non sono soltanto le forze politiche nelle diverse istituzioni a dover ristudiare le lezioni che ci hanno consentito di superare esami difficili: di riparazione o anche di laurea.

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