Che fine hanno fatto le nostre ali?

Molto spesso ci scopriamo gravati di un “peso” che ci impedisce di volare. Invece c’è un “salvatore potente” che, nonostante tutto, ce lo permette

Perché ci stanchiamo così tanto? Perché capita di trascinarsi dentro le giornate, facendo lo slalom tra i vari appuntamenti, in attesa di poterci finalmente dedicare a ciò che vogliamo? Perché dobbiamo giustificarci dietro al fatto che abbiamo tanto da fare, impegni da assolvere, un lavoro impegnativo da sostenere? Perché a volte ci viene persino voglia di “sparire”? Per di più, a un certo punto, possono arrivare anche carichi imprevisti e tremendi, come confida Alda Merini in una delle sue poesie: “Ho bisogno di alleggerire le spalle. Perché è da troppo tempo che sono cariche di pesi che non ho voluto e non ho chiesto. E poi sotto ci sono le mie ali. Ci sono io, che ho bisogno di volare”.



E se fosse il nostro bisogno di volare a farci sentire il peso di tutto il resto? Se avessimo veramente l’urgenza di alleggerirci? Ma che fine hanno fatto le nostre ali? Il profeta Sofonìa, nella prima lettura della Messa di oggi, ci provoca proprio su questo: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3, 16-17).



La ragione per cui le nostre braccia possono non cadere è la presenza di un salvatore potente in mezzo a noi. Dio non propone al suo popolo la fuga dalla realtà o dalla propria storia, ma rende possibile spiccare il volo persino coi pesi che ciascuno ha addosso. La certezza della sua presenza, la promessa della sua salvezza, sono sufficienti per poter guardare in un modo nuovo la realtà in cui siamo inesorabilmente immersi. Realtà che, lo sappiamo bene, al tempo stesso ci attrae, pur nella trama spesso faticosa di circostanze e rapporti che la costituiscono. C’è un segno, una promessa, dentro le cose, come rivela il profeta.



La realtà, dunque, è un portale aperto su un mistero più grande, per questo – come scrive don Giussani – “La cosa grave è che non si percepisce con l’intelligenza e con l’affezione che la realtà non si esaurisce in quel che tocchi, vedi e senti. […] La realtà è al di là della realtà. L’‘al di là’ sta sotto e la tien su; fa il naso, la bocca e gli occhi, dà il colore all’iride, dà le note alla mente del genio, dà l’armonia che cuce insieme queste varie note nel cuore del musicista. La realtà è al di là. L’esperienza umana che è quasi quasi trasparente in questo senso è quando uno dice ‘tu’ con intelligenza e amore, da uomo. Se uno da uomo dice ‘tu’, capisce che, mentre dice ‘tu’, afferma qualche cosa che, mentre la brandisce, mentre la stringe, sfugge. È più di quello che brandisce, è più di quello che prende con la mano, ed è più suggestivo e misterioso di quello che l’attira come affezione” (Ritiro novizi primo anno, 29-30 maggio 1993, cit., pp. 5-6).

Solo così possiamo raccogliere l’invito di oggi dell’apostolo Paolo: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. Altrimenti la vita sarebbe una condanna, un dover essere sempre all’altezza quando sappiamo bene che non è possibile. Una condanna all’impossibile. Il Natale ci aiuta a non farci scappare il cuore della questione: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente”. Ciascuno lo può verificare di persona, usando le “ali” di cui è dotato.

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