Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom. Eccetera. Più recentemente e modestamente il sessantottino imbruttito generò il comunista col Rolex, il comunista col Rolex generò il trapper con la Lamborghini. Il trapper dice di venire dalla suburra umana delle periferie, di gridare l’invocazione del riscatto e l’urlo di battaglia per la liberazione. E qualche volta è vero, o è stato vero. Tante volte no. Uno di questi risulta essere – c’è sempre da imparare per noi massa di ignoranti, ahimè, del rap e del trap – Nicolò Rapisarda, in arte Tony Effe, romano non delle borgate in realtà ma del quartiere bene Monti, uno che va per la maggiore e che, senza muovere un dito, ha diviso il Pd, il mondo dei cantanti, e mezza Italia.



La storia è nota: ingaggiato per il Concertone di Capodanno a Roma dal sindaco Gualtieri (Pd) con altri due, dallo stesso escluso per le proteste delle donne piddine (e poi anche del centrodestra) indignate che si desse spazio, pagando con soldi pubblici, a uno che propone testi sessisti e misogini. Finisce che il Concertone si affloscia, il reprobo farà a Roma un suo concerto già tutto prenotato, e andrà a Sanremo, come se i soldi della Rai non provenissero dalle stesse tasche degli italiani come quelli di Roma capitale giubilare.



Trattasi, com’è a ognuno evidente, di un grumo di contraddizioni vistosamente rappresentate in farsa. Verrebbe da dire: ma che se la peschino! Tuttavia qualche domanda è forse il caso di porsela.

Panem et circenses?

L’amministrazione capitolina ha acquistato un prodotto senza conoscerlo, nemmeno per scelta culturale, ma sull’onda del mercato, cioè quale panis e quali circenses conviene propinare alla plebe. Roma e Milano avviarono negli anni 80 due esperienze di promozione culturale di massa da parte dell’ente pubblico. Gli assessori erano Guido Aghina, radicale, a Milano, e Renato Nicolini, comunista, a Roma. L’intento era aprire le porte della fruizione culturale a tutti, sottraendola a monopoli elitari. Aghina sdoganò “da sinistra” il futurismo, Nicolini fece conoscere film di impegno alle masse. Le scelte poterono essere discutibili, certamente. Ma il tutto aveva un senso. E loro sapevano che cosa promuovevano. Adesso che senso ha che un ente pubblico offra gratis, pagando quello che sul mercato va benissimo con le sue gambe? Non sarebbe meglio recuperare una funzione, in questo caso, più sussidiaria?



Posseggo ergo sum?

La traiettoria, alla fine vincente, dal ’68 ad oggi non è stata quella del cambiamento sociale nel senso della giustizia e dell’equità, ma quella dei diritti individuali e del permessivismo. L’affermazione della sessualità totalmente scissa della procreazione, quindi la possibilità di separare la sessualità dall’amore stesso. Basta un innocente telefilm poliziesco americano per incontrare come la cosa più ovvia e pacifica del mondo un dialogo come questo: “Allora tra voi due c’è qualcosa?” “No, è solo sesso”.

Contemporaneamente a questo processo, il sistema economico-finanziario-consumistico ha sostituito il “cogito ergo sum” con il “posseggo (o consumo) ergo sum”, se posseggo sono qualcuno, il mio io esiste e si afferma.

Ma la concezione dell’amore come possesso è il seme della violenza. Non è il caso di farsi interrogare se l’uomo sia davvero autosufficiente o non debba piuttosto riconoscere che dipende dal Mistero, e che a ogni persona è perciò dovuto rispetto infinito?

Trasgressione obbligatoria

La trasgressione – quella di questi trapper, ma non solo – è il travestimento da nonna di Cappuccetto rosso che usa il lupo. Il lupo non è il Tony Effe di turno, ma il potere mediatico e commerciale. Il quale si serve della trasgressione, inducendola, fagocitandola, rendendola obbligatoria, e innocua per sé. I ragazzi – che sono il pubblico prevalente di molti trapper – sono spesso schiacciati tra la domanda di prestazioni che si sentono pesare addosso e la percezione di non essere stimati e valorizzati. La trasgressione (l’illusione della trasgressione) può apparire loro come l’espressione dell’io incompreso. Ma la trasgressione (obbligatoria e pilotata) unita alla fine della morale finisce nel peggiore degrado.

Quando Tony Effe dice che canta quel che vede, è vero. Quel che vede è lo specchio della società. La quale, avendo tolto tutti i freni al permissivismo nichilista, ricorre in extremis a qualche niet o censura e deve simulare una verginità persa da mo’. Fate pure, ma non crediate di cavarvela così a buon mercato.

Gusti e desiderio

Ai ragazzi, o a molti di loro almeno, e a quanto pare soprattutto ragazze, il trap, il Tony Effe vestito quasi solo di tatuaggi e di collane costosissime, le parolacce gratuite, le frasi trucide (andate voi se volete a leggere i testi come ho fatto io) piacciono. Sarà tempo di abolire il vecchio adagio “de gustibus non disputandum est”, ognuno ha i suoi gusti e non c’è da discutere. Perché funziona il cattivo gusto? Perché spesso i testi e la musica sono miserrimi. Che cosa ha permesso, o generato, il cattivo gusto? Forse la scarsa esperienza (magari guidata) del bello. Se nessuno ti aiuta a gustare davvero, potresti addirittura ingozzarti di frizzantino del bar ignorando un barolo d’annata. Credo che una buona educazione aiuti a connettere il gusto non agli istinti immediati e belluini, ma ai desideri veri che si radicano nelle esigenze profonde del cuore umano.

Se nei trapper c’è traccia di questo, valorizziamolo. Io ho trovato nel nostro soprattutto un ossequio agli unici tre dèi rimasti nella nostra epoca irreligiosa, secondo quanto afferma Eliot ne La terra desolata: l’usura, la lussuria e il potere. Soldi, sesso e violenza.

Ma quel che più conta, ammettiamolo, è che noi sessantottini imbruttiti e incanutiti non siamo senza responsabilità. E nemmeno i nostri figli, che sono gli attuali padri. Più o meno evaporati.

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