Sotto l’albero milioni di italiani hanno trovato sacchetti di carbone non solo metaforico: le bollette dell’energia non si sono affatto normalizzate come invece tendono a segnalare gli indicatori aggregati dell’inflazione, peraltro a partire da uno zoccolo triennale ben difficilmente destinato a sgonfiarsi.
L’instabilità geopolitica non cesserà di colpo neppure quando – nelle premesse e negli auspici – i fronti caldi o freddi si distenderanno almeno un po’ nell’anno che si sta aprendo. Il prezzo di un’energia ancora legata alle fonti fossili rimarrà altalenante: per le famiglie e per le imprese. Il Covid prima e poi la strategia delle sanzioni contro la Russia e i terremoti continui in Medio Oriente hanno riacceso la speculazione, rendendo quasi una costante i bruschi rialzi dei prezzi di gas e petrolio. Né va trascurata la difesa attiva di un fronte ancora vasto di interessi pubblici e privati legati alla transizione verso le fonti rinnovabili: irriducibilmente resilienti nel proteggere e rilanciare i propri investimenti finanziari e politici in chiave di indipendenza strategica definitiva dell’Occidente.
Comunque andrà nel 2025, quella che sembrava non essere più un’emergenza per il Governo italiano (come per quello francese o tedesco) tornerà a essere invece una spina nel fianco politico-economico: e se non verrà affrontato, nel terzo anno della legislatura rischia di premere su una maggioranza finora relativamente solida sul fronte del consenso.
Non sono solo le imprese “energivore” a segnare a macchie sempre più visibili i distretti e i settori di un’Azienda-Italia in trincea. I 118mila posti di lavoro a rischio rilanciati dai media negli ultimi giorni dell’anno sono solo una spia di una sfida che sarebbe un errore classificare come emergenza sociale da fronteggiare con strumenti ammortizzatori di portata contingente. Il Governo non potrà esimersi dal riaprire il dossier della politica industriale: e non con le cifre e le logiche di una manovra 2025 ancora di fisionomia transitoria. O meglio, non con l’attenzione riservata finora – almeno nei riflessi mediatici – a una singola crisi industriale dai molti contorni specifici: quella di Stellantis. Sono invece migliaia di imprese – spesso sconosciute ai lettori di giornali e siti – che saranno decisive per il Pil italiano “nel dopoguerra”: Ed è guardando a queste – in Italia e nell’Ue – che Mario Draghi ha redatto il suo Rapporto sulla competitività europea in un nuovo mondo ancora poco connotabile.
Un terza sfida di politica economica può apparire mal catalogata: è quella riguardante il salvataggio del Sistema sanitario nazionale. Non resta solo – assieme a quella della scuola – un’emergenza sociale (civile) permanente e fondante in una democrazia occidentale. Nessun sistema manifatturiero – e quello italiano resta il secondo dell’Ue – può pensare di ritrovare competitività sui mercati se milioni di lavoratori restano senza medico di base o senza più la certezza di trovare nella sanità pubblica reali risposte “salvavita”. Se fra dodici mesi la crisi crescente del Ssn risulterà lasciata a se stessa è probabile che la credibilità complessiva del Governo entrerebbe in sofferenza: assai di più che sulla riforma della giustizia o sull’altrettanto eterna querelle sui migranti.
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