Ho molto apprezzato l’editoriale di Maurizio Vitali a proposito della morte di Navalny. Personalmente sono tra quelli che avendolo conosciuto quando sosteneva posizioni non condivisibili di carattere super nazionalista e addirittura razzista, facevano fatica ad immaginarselo come campione della democrazia e della libertà di espressione.

In verità oggi Navalny dimostra, col suo sacrificio, di essere l’erede di quell’uomo russo, magari pieno di difetti o sostenitore di posizioni diverse dalle nostre, dalle mie, ma capace di mantenersi fedele fino all’ultimo, fino all’estremo, a ciò a cui aveva dedicato la vita.

La sua opposizione a Putin non partiva da grandi ideali o da un grande progetto politico, ma dalla lotta contro la corruzione e l’ingiustizia. Qualcosa che desidera giustamente ogni popolo di questo mondo. Il popolo, ogni popolo, anche il nostro, vorrebbe meno corruzione e più giustizia. Ma non so quanti tra noi sarebbero disposti a sacrificarsi per questo.

D’altra parte questo nobile desiderio ha bisogno di diventare capace di costruire esperienze di popolo in grado di avere ragioni adeguate per sostenere il desiderio con la vita.

Ricordo che quando insegnavo all’Istituto di Diplomazia di Astana, dopo una lezione tenuta da Michail Gorbaciov, ebbi la possibilità di fargli, non direttamente, ma attraverso un mio studente, questa domanda: “Come mai lei che aveva un grande progetto politico non è riuscito a realizzarlo, mentre Lech Walesa, che non aveva nessun grande progetto politico, in qualche modo è riuscito a realizzarlo?”

La domanda era non poco impertinente, ma Gorbaciov, uomo di squisita intelligenza, ebbe a rispondere, con un sorriso: “Lui non aveva un grande progetto politico, ma aveva con sé il popolo; io avevo un grande progetto politico (la riforma dell’URSS), ma non avevo con me il popolo”.

Oggi la Russia ha certamente bisogno anche di grandi progetti politici e di eroi in grado di proporli, e magari di sacrificarsi per questo. Ma il primo bisogno è l’educazione di un popolo ormai da troppo tempo vittima di una sistematica distruzione di quei valori religiosi e sociali che lo costituivano.

Tolstoj e Dostoevskij, e altri, non furono solo grandi uomini di cultura, ma, almeno fino alla rivoluzione, furono in grado di educare il popolo e, a volte, di condizionare anche il potere che lo governava.

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