Le banche europee stanno distribuendo 120 miliardi ai propri azionisti, sotto forma di dividendi e di riacquisti di azioni. È un “monte” superiore del 50% rispetto all’anno scorso, quando il sistema aveva iniziato a beneficiare del forte rialzo dei tassi imposto dalle banche centrali in funzione anti-inflazione. La generazione di valore del 2023 ha toccato nuovamente i valori record registrati nel 2007: l’anno prima del collasso dei mercati. E già questo precedente significativo contribuisce ad accendere qualche allerta, e a lasciare l’euforia agli investitori in titoli. Un soddisfazione pur legittima: soprattutto dopo due anni di “carestia” (i bilanci 2021 e 2021, anch’essi ammalati di Covid e tenuti in quarantena dalla Bce).
Le autorità monetarie e i Governi hanno invece più di un motivo per essere assai meno positivi. Le prime (soprattutto a Francoforte) avrebbero gradito che una parte della ricca messe di profitti fosse riposta nella cascina delle riserve patrimoniali (che invece i buyback hanno in parte eroso, mentre i finanziamenti immobiliari cominciano a dar segni di sofferenza). Gli Esecutivi nazionali – fra questi anche quello italiano – hanno dal canto loro sperato di prelevare qualche tassa straordinaria: tenuto conto che almeno una parte degli utili bancari “extra” è stata legata alle manovra Bce di contrasto all’inflazione “da guerra”; cioè a scelte politico-economiche di reazione a un contesto esterno, variamente addossate negli oneri a famiglie e imprese.
Le banche – non uniche – sono state fra le imprese (generalmente grandi, come i colossi energetici) che hanno invece beneficiato in misura visibile della situazione. Le attese di una condivisione di tali benefici – se non sotto forma fiscale almeno di remunerazione dei depositi o limitazione dei tassi su mutui o crediti alle imprese – non si sono realizzate. Ora la “vendemmia” di dividendi e altra “creazione di valore” per gli azionisti avviene quando Mario Draghi– ex Presidente Bce ed ex Premier italiano – sta rendendo più intensa e circostanziata l'”alta advisorship” chiesta dalla Commissione Ue uscente. E nelle sue raccomandazioni per una nuova fase di “recovery” della competitività dell’economia europea Draghi ha segnalato l’urgenza di richiamare su grandi investimenti (in transizione eco-energetica, digitale e ora anche militare) anche risparmi e capitali privati.
Il sistema bancario – già al centro delle riflessioni di Draghi in funzione Recovery Plan Ue all’uscita della pandemia – si profila nuovamente come piattaforma principale per l’intermediazione di fondi privati verso progetti e obiettivi delineati da politiche pubbliche, soprattutto di livello comunitario. E una problematica emergente appare certamente una fisionomia del sistema creditizio ancora disegnata sull’obiettivo prioritario del profitto e dell’aumento dei valori dei titoli quotati laddove invece le funzioni svolte dei gruppi grandi e meno grandi si annunciano invece orientate da decisioni pubbliche e non di mercato. E in questo contesto complesso e in via di evoluzione incerta sembrano ricomprese anche le dinamiche di futuro consolidamento del settore attraverso fusioni e acquisizioni.
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