Non sappiamo ancora quando si terranno le elezioni presidenziali in Venezuela. In realtà, non sappiamo se ci saranno elezioni in quel Paese. Sul calendario sono segnate le elezioni europee del 9 giugno. Prima si terranno quelle in India. A novembre le presidenziali americane. Sono oltre 4 miliardi le persone chiamate quest’anno a votare in molti angoli del pianeta.

Saranno elezioni libere? Difficilmente in Venezuela. Negli Stati Uniti e in Europa senza dubbio. Ma le elezioni libere sono davvero libere? Gli elettori compiono un atto di libero arbitrio quando scelgono il partito o il leader da sostenere?

La domanda non è retorica. C’è chi lo mette in dubbio. Il vecchio determinismo torna tramite neuroscienze e fisica. “La sensazione del libero arbitrio è reale, la capacità di esercitarlo, la capacità della mente umana di trascendere le leggi che controllano il progresso fisico, non lo è”, evidenzia il noto fisico Brian Greene. Non causiamo e non possiamo causare nulla: siamo conseguenza.

Robert Sapolsky, biologo e neuroscienziato di Stanford, va nella stessa direzione. La biologia, gli ormoni, la nostra infanzia e altri fattori ambientali spiegano il nostro comportamento. Le decisioni che prendiamo in realtà non sono decisioni, ma conseguenze necessarie di fattori precedenti. Sapolsky considera questa “scoperta” liberatoria perché così scompare il peso della colpa.

L’Intelligenza artificiale ci ha fatto chiedere se le macchine possano arrivare ad agire, pensare e provare emozioni come le persone. Ma c’è una corrente che raccoglie ampio sostegno nel campo delle neuroscienze che ci dice che questa non è la domanda giusta. Le persone sono in realtà macchine molto complesse, ma pur sempre macchine.

Altri neurologi, quelli che non sono deterministi, preferiscono non usare l’espressione libero arbitrio perché è impossibile riprodurre fedelmente le stesse condizioni interne, ambientali e sociali per fare confronti tra due persone. Ma ciò non impedisce di constatare che le decisioni vengono prese da “sistemi indeterminati”, cioè sistemi che non si limitano a rispondere in modo prevedibile agli stimoli. Questo sistema è l’io.

L’io è un’illusione? Questa è la vera questione. Il processo decisionale a volte è impulsivo, a volte ponderato e talvolta quasi predeterminato dalle circostanze. Ma prendiamo una decisione in base a quelli che i neurologi chiamano “bisogni elettivi”, in base al desiderio che consideriamo più importante o più promettente per le gioie e i dolori che abbiamo vissuto. Non siamo macchine perché comprendiamo i significati e perché siamo capaci di cooperare.

Decidiamo in base a ciò che conosciamo e a ciò che amiamo. Amiamo coloro che ci soddisfano. Decidiamo obbedendo a ciò che appare desiderabile alla nostra libertà, cercando ciò che ci ha già dato soddisfazione, cercando ciò che può darci soddisfazione.

Colpisce che la corrente non deterministica delle neuroscienze, per salvare l’oggettività della libertà, si affidi al desiderio. Le macchine non desiderano.

La democrazia, così come la conosciamo oggi, si basa su diverse generazioni di diritti umani. La prima generazione dei diritti umani è quella che difende la persona libera dagli abusi dello Stato. La seconda generazione consacra l’uguaglianza e la terza la solidarietà. Siamo alla quarta generazione dei diritti umani, che tutela la libertà e l’irriducibilità dell’io contro gli abusi digitali e genetici.

Se vogliamo elezioni libere abbiamo bisogno di persone irriducibili, di persone libere, cioè di persone che si muovano nella sfera dei significati, che sappiano cooperare. Persone dal desiderio ben allenato.

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