Il dono di reimparare se stessi

In quaresima sentiamo spesso l'invito a una "nuova vita". L'ha inaugurata in noi il battesimo, ma abbiamo bisogno di riconquistarla continuamente

Suono il campanello e mi apre una signora in carrozzina. Preghiamo, do la benedizione (come stiamo facendo in tutte le case in occasione della Pasqua) e chiedo il motivo della sedia a rotelle. Mi racconta della malattia, dell’intervento fatto, delle cure… ma anche del fatto che nessuno è riuscito a risparmiarle quella condizione. Con un volto lieto mi dice: “Non possiamo cambiare quello che ci capita, ho imparato a vivere questa nuova vita”. Il marito la segue e l’aiuta in tutto. Mentre vengo via penso a quell’espressione “nuova vita”, che siamo abituati a utilizzare per descrivere ben altre situazioni. Non sta fingendo, non sta indorando la pillola, si vede sul volto che per lei è veramente una nuova vita, tutta da imparare. Da come ci si lava a come ci si veste, da come usare gli spazi della casa a come vivere il rapporto con una parte del proprio corpo che non risponde più. Occorre reimparare se stessi.

In quaresima sentiamo spesso l’invito a una “nuova vita”. È quella che il battesimo ha inaugurato definitivamente per ciascuno di noi e che, nel passare del tempo, abbiamo sempre bisogno di riconquistare. La “nuova vita” è anche quella che inizia quando ci accade qualcosa di grande e inaspettatamente favorevole, quando ci liberiamo di un peso che rendeva il cammino insostenibile. Chi avrebbe mai immaginato, invece, di sentire sulla bocca di una donna in carrozzina un’espressione così?

Vengono in mente alcuni brani del Vangelo in cui Gesù, di fronte alla richiesta di guarigione di qualche malato, sembra interessato a mettere mano a un’altra malattia, di cui il malato stesso non si accorge: il peccato. Spesso prende la forma della noia del vivere, della disperazione, del non senso, dell’abitudine che uccide qualsiasi novità possibile. Cristo interviene prima sul cuore, e poi sul corpo. Ha ben chiaro che uno può essere lieto persino in un corpo malato e disperato in un corpo sano. La ragione è contenuta in uno dei testi più dirompenti che io abbia mai letto: “Da allora [dall’incontro con don Giussani] non ho avuto più paura della mia umanità, dei miei desideri, delle mie esigenze, perché la mia umanità era mio alleato, non era il nemico che faceva confusione, non era qualcosa da far tacere o da rimettere costantemente a posto, ma qualcosa che mi spingeva. Sarò sempre grato di questo, perché senza questa umanità, senza lo svelarsi di questa umanità, senza il ribollire in me di questa umanità non avrei mai saputo dire sul serio che cosa era Cristo. Perché Cristo non lo capiscono i sassi, Cristo lo capisce soltanto il cuore, perché si propone al nostro io come risposta al nostro cuore, alle esigenze del nostro cuore, della nostra umanità” (don Julián Carrón, L’attrattiva vincente).

Quando vedi, in te e negli altri, che queste non sono solo parole, ma ciò di cui siamo fatti, allora tutto prende un’altra prospettiva e, sottovoce, dici: “Potrebbe capitarmi qualsiasi cosa, ma io sono Suo”. Questa è la “vita nuova” che la Trinità, stabilendosi in noi, rende possibile. Questo è ciò che tutti desiderano e che abita nelle nostre case.

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