Sono tante le domande che i giovani si pongono rispetto al lavoro, al come far fiorire i propri talenti ed essere creativi. Proprio qualche giorno fa, il Financial Times riportava un’accurata analisi sul flusso dei talenti nel settore tecnologico, parlando di una “enorme guerra per i talenti” ed evidenziando la notevole mobilità di un mercato del lavoro sempre più dinamico. Che cos’è il talento? Come educarlo? Come specializzarsi senza alienarsi? Sono domande che emergono con urgenza in questo periodo di rapide trasformazioni.
Mi sono imbattuto recentemente in un dialogo tra alcuni studenti e François Michelin, uno degli imprenditori di più grande successo del XX secolo. Un dialogo con a tema proprio queste domande. Sono tanti gli spunti interessanti e di grande attualità, come il valore dell’educazione e dell’avere un maestro da cui apprendere, l’importanza del contatto con la materia e con le persone per imparare un mestiere, o la possibilità di imparare da un fallimento. “Spesso è possibile ottenere più profitto da un fallimento che da un successo, perché quando si ottengono dei risultati positivi si rischia di specchiarsi senza analizzare nulla, mentre davanti a uno scacco siamo obbligati a essere attenti alla realtà e a imparare da essa”.
Il lavoro è l’ambito in cui una persona può esprimere e coltivare una passione. Ma cosa vuol dire obbedire alle proprie passioni? Michelin ricorda il suo primo giorno in fabbrica e le parole con cui venne accolto da un suo responsabile: “Signor François, se lei non ama lo pneumatico, se ne può andare anche subito!”. Michelin capisce nel tempo il valore di questa affermazione, accorgendosi che l’amore e la passione per il suo lavoro sono state un aiuto a scoprire il senso delle difficoltà e ad affrontarle come un’occasione di progresso. “Tutte le grandi scoperte e invenzioni nel mondo sono state generate dal fatto che c’era qualcosa che non funzionava o che funzionava in modo insufficiente”.
Nell’era della specializzazione, in cui il livello di profondità delle competenze richiesto è sempre più profondo, spesso si avverte una sproporzione tra l’orizzonte limitato del nostro lavoro, che a volte può essere arido e abitudinario, e l’ampiezza della nostra curiosità e del nostro impeto costruttivo. Su questo tema, Michelin richiama la storia dei tre tagliatori di pietra. Al primo tagliatore viene chiesto cosa stia facendo e risponde: «Sto tagliando una pietra». La stessa domanda viene posta al secondo, che risponde: «Sto creando una scultura». Il terzo invece esclama: «Sto costruendo una cattedrale». È possibile lavorare con questa consapevolezza anche in azienda: “Quando si lavora uno pneumatico, che è stato il mio lavoro per cinquant’anni, quando pensiamo che è un elemento importante di un’auto e si è attenti al cliente siamo nella posizione del terzo tagliatore, stiamo costruendo una cattedrale, un’Opera. Credo che l’industria in generale funzioni perché spesso, anche in modo implicito, le persone hanno l’impressione e il sentimento di partecipare a un’Opera”.
Anche se non è sempre visibile, questa consapevolezza è un fattore irriducibile della persona ed è sostenuta dalla tradizione: “Non si può conoscere dove si va se non si conosce da dove si viene. […] Se si dimentica la finalità di quello che facciamo, la nostra attività sarà sempre sgradevole”. Si capisce perché sempre l’imprenditore francese disse in un’altra sede che “il problema oggi non è la risorsa umana ma l’uomo come risorsa”. Formare e coltivare un talento significa innanzitutto aiutare una persona a “diventare quello che già è in profondità”.
Recuperare questa consapevolezza sarebbe un grande aiuto per sostenersi nella responsabilità di educare il talento, invece che ridurlo all’ennesima ragione per cui farsi la guerra.
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