Come evitare il crollo del welfare

I problemi del welfare territoriale sono tanto grandi quanto assenti nel panorama politico che sembra quasi disinteressarsene

Non è facile oggi fare il Sindaco, soprattutto nei Comuni di piccola e media dimensione delle aree rurali e periferiche. Molte sono le ragioni. Una è senza dubbio la domanda crescente di servizi che riguardano condizioni sociosanitarie quali le patologie croniche causate dall’invecchiamento, la disabilità fisica e psichica, ma anche la povertà, la mancanza o l’alto costo di strutture come asili nido e scuole dell’infanzia e infine, semplicemente, luoghi di aggregazione per il tempo libero.

Alla crescente domanda corrisponde un’offerta sempre più carente dovuta ai tagli alla spesa del welfare territoriale in modo pressoché continuo. I dati del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) sui servizi sociali territoriali nel periodo 2015-2019 indicano che la spesa dei Comuni non ha recuperato i tagli operati a seguito del periodo della grande crisi finanziaria, attestandosi sui livelli del 2007.

Nel Rapporto sulla spesa dei Comuni per i servizi sociali pubblicata l’anno scorso, L’Istat rilevava che, soprattutto a causa della pandemia, i Comuni hanno dovuto far fronte a un anomalo incremento dei bisogni assistenziali. Nel 2020 sono stati impegnati, complessivamente, 9 miliardi e 699 milioni di euro che, al netto delle entrate provenienti dalla compartecipazione degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, corrispondono a 7 miliardi e 848 milioni di euro (+4,3% rispetto al 2019). Le amministrazioni locali sono in difficoltà nel tutelare le persone rispetto a una serie di rischi o bisogni di varia natura. È aumentata del 72,9% (da 555 a 959 milioni) la spesa per l’area povertà, disagio adulti e persone senza dimora. Anche i contributi a sostegno del reddito sono in forte crescita: 377.000 beneficiari nel 2020. Sono 743mila i beneficiari dei buoni spesa per emergenza alimentare (21.500 nel 2019).

Nel contempo, il divario tra ricchi e poveri aumenta. Secondo l’ultimo Rapporto Oxfam, la ricchezza detenuta dal 10% dei più abbienti è cresciuta di 3,8 punti percentuali nel periodo 2000-2022, mentre la quota della metà più povera degli italiani si è ridotta complessivamente, nello stesso periodo, di 4,5 punti percentuali.

In alcuni Comuni la diversa capacità di spesa è decisamente vistosa.

I livelli di assistenza dei Comuni sono molto diversi tra di loro. La spesa, infatti, varia dai 583 euro a persona di Bolzano ai 6 euro di Vibo Valentia (dati relativi al 2018-19 raccolti dal Rapporto dell’Osservatorio nazionale sui servizi sociali territoriali del Cnel, in collaborazione con l’Istat).

La denatalità aumenta il problema: nel 2022 i nuovi nati sono stati meno di 400.000 (390.000) e, al netto di altri problemi, ciò significa meno lavoratori (nel 2050 saranno 8 milioni in meno) e quindi ci sarà meno capacità contributiva anche per finanziare la spesa sociale.

Saper affrontare la crisi del welfare vorrà dire tenere in piedi uno dei pilastri fondamentali della nostra democrazia e del nostro sviluppo. E vorrà dire poter continuare a offrire servizi di qualità a tutta la popolazione, non solo a chi se li potrà permettere.

I problemi del welfare territoriale sono quindi tanto grandi quanto assenti nel panorama politico che sembra quasi disinteressarsene, vedi l’abbandono, di anni, del lavoro per la definizione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in uguale misura sul territorio nazionale. Praticamente si sta ballando sul Titanic. Non è un problema solo italiano, ma, in questo quadro, occorre un ripensamento generale e urgente perché sarebbe devastante il crollo del welfare universalistico cui siamo stati abituati.

Ma come si potrà far fronte, nell’immediato, a questa sfida epocale? Uno studio della Fondazione per la Sussidiarietà in lavorazione sta provando a verificare se e in che termini un maggiore coinvolgimento delle realtà del Terzo settore possa svolgere un ruolo importante in questa direzione, liberando più risorse e offrendo servizi di maggiore qualità, data ad esempio, dalla prossimità e dal maggiore coinvolgimento tra utenti e operatori. E nello stesso tempo, la ricerca proverà a definire proposte di policy utili affinché lo Stato possa meglio garantire questi obiettivi.

Un fatto è comunque certo: la ricostituzione e il rafforzamento di quelle reti naturali sociali di protezione, al di fuori dello Stato e del mercato, non solo può contribuire ad assicurare una risposta efficace a tanti bisogni di cura delle persone, ma è decisivo per la ricostituzione del corpo sociale, che dovrebbe essere il principale attore di un sistema-Paese.

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