La tentazione è grande e può colpire chiunque: sostituire i fatti con i discorsi. I due di Emmaus avevano iniziato così, con le loro parole interminabili lungo il cammino. Il Vangelo dice che anche Gesù si mise a parlare con loro e “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. Ma non lo riconobbero mentre parlava. I loro occhi si aprirono davanti a un fatto, alla consegna che fece di sé in un gesto, quello del pane spezzato. I discepoli, poi, fecero ritorno a casa e, una volta arrivati, iniziarono subito a raccontare agli altri ciò che avevano vissuto.
Il Vangelo, però, ci spiazza ancora, riportando che “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma”. Cristo non sopporta di essere ridotto a un discorso, preferisce essere presente “in persona”, tanto da interrompere bruscamente tutta la spiegazione che i due di Emmaus stavano facendo agli amici.
La cosa ancora più sorprendente è che, pur avendolo appena riconosciuto, adesso sono ancora al punto di partenza: credevano di vedere un fantasma. Ogni volta che Cristo accade nella vita di qualcuno è come se fosse sempre la prima volta. Non c’è possibilità di abituarsi alla sua presenza. Questo particolare diventa un test anche per noi. Tutto ciò che ha il sapore del già saputo, tutto ciò che si avvicina a una bella spiegazione, a una serie di raccomandazioni, a un festival delle parole, deve accendere un sano sospetto: non può essere Lui.
Fatti, avvenimenti, imprevisti, sono l’habitat che il Mistero ha scelto per rimanere in persona in mezzo a noi, contemporaneo di ciascuno, come scrisse Romano Guardini: “La sua vita terrena è entrata nell’eternità e in tal modo è correlata ad ogni ora del tempo terreno redento dal suo sacrificio… Nel credente si compie un mistero ineffabile: Cristo che è ‘lassù’, ‘assiso alla destra del Padre’ (Col 3, 1), è anche ‘in’ quest’uomo, con la pienezza della sua redenzione; poiché in ogni cristiano si compie di nuovo la vita di Cristo, la sua crescita, la sua maturità, la sua passione, morte e resurrezione, che ne costituisce la vera vita” (Il testamento di Gesù, Milano 1993, p. 141).
Capiamo così che quel termine “in persona” se da una parte afferma che è proprio Lui a essere rimasto presente, e non un’immagine di Lui, d’altra parte dice che la Sua presenza è legata a una personalità, quella della Chiesa. La compagnia di uomini e donne cambiati da Cristo è la testimonianza personale del Suo esserci. “È questo il motivo che rende la Chiesa contemporanea di ogni uomo, capace di abbracciare tutti gli uomini e tutte le epoche perché guidata dallo Spirito Santo al fine di continuare l’opera di Gesù nella storia” (Benedetto XVI).
Non c’è scampo: i discorsi non tengono. Imboniscono, temporeggiano, accarezzano, ma non cambiano il cuore. Il Risorto ha scelto i fatti, non le loro interpretazioni. E noi, cosa possiamo raccontare per mostrare che è presente in persona, che non l’abbiamo sostituito con un discorso e che la Chiesa non è uno stereotipo?
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