È un’Europa più unita – sul piano istituzionale ma soprattutto nelle radici ideali e nelle finalità strategiche – quella che Enrico Letta raccomanda con forza ai Ventisette. Lo ha fatto in un rapporto chiestogli dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al termine del mandato quinquennale e alla vigilia del voto di rinnovo dell’euro-Parlamento.

È uno studio gemello, nel format, rispetto a quello affidato a un altro ex premier italiano – Mario Draghi – focalizzato sulla competitività economico-finanziaria dell’Unione. Letta – cui Bruxelles ha chiesto un punto di vista più strutturale sullo “stato dell’Unione” – non elude la matrice profonda dell’Europa dal Trattato di Roma del 1957 in poi: lo sviluppo progressivo della istituzioni di governo (condivise via via da 6 a 27 Paesi) resta imperniato sulla coesione dei mercati. E il “mercato interno” – dice senza mezzi termini l’ex presidente del Consiglio “dem” italiano – è ancora lontano dall’essere realizzato, anzi: a dispetto dell’euro – la più importante acquisizione politico-economica europea in oltre un sessantennio -, il “mercato unico” sta attraversando una fase di transizione, se non di vera e propria debolezza.

Finanza, telecomunicazioni, energia: sono macro-settori in cui l’Ue può e deve raggiungere la coesione maturata dall’ormai leggendaria “Europa verde” (nel senso di agroalimentare). E nel grande “rimescolamento di carte” indotto dalla pandemia e intensificato – purtroppo – dalla conflittualità geopolitica, l’Europa del “Rapporto Letta” non può permettersi di perdere altro tempo: deve anzi riguadagnarlo. E all’orizzonte non c’è solo una “confrontation” con la Cina: non si profila meno sfidante quella con gli Usa, essi sì una vera “Unione”. Tornata certamente grande partner occidentale, ma dal futuro non del tutto decifrabile nella leadership in vista della scadenza elettorale per la Casa Bianca. E poi l’Europa deve ritrovare una soggettività globale adeguata a prescindere dalle guerre o dalle pandemie, che hanno solo enfatizzato l’esigenza di rendere più solida – “più sicura” – l’architettura europea, pena un “declino” molto probabile.

Un balzo in avanti nell’integrazione strategica del mercati appare condizione preliminare per sbloccare finanziamenti privati anche per le priorità politiche dell’Europa (transizione verde,  adesione all’Ue di Ucraina, Moldavia e Balcani occidentali e aumentare la spesa per la difesa). “Se non riusciamo a dare una risposta alla domanda su come finanziare la transizione verde, l’allargamento e le nuove esigenze di sicurezza, sarebbe molto, molto complicato evitare una reazione sociale e politica”, sottolinea Letta.

Per coprire le esigenze dei Paesi meno sviluppati che aderiranno al blocco, il direttore dell’Istituto Jacques Delors suggerisce anzi di istituire uno “strumento di allargamento” che eroga denaro secondo criteri rigorosi volti a mitigare le preoccupazioni circa l’errata spesa dei fondi da parte dei nuovi arrivati. E a mo’ di esempio sull’evoluzione attesa dell'”Europa delle regole”, Letta non manca di suggerire un diverso meccanismo per la politica di concorrenza, che consideri le aziende europee come concorrenti su scala globale: prevedendo che la legislazione europea venga applicata in modo più uniforme in tutto il blocco e che cambi il regime degli aiuti di Stato per garantire che vadano a vantaggio dei progetti transfrontalieri.

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