Il caso del nuovo SUV Milano (ora Junior) dell’Alfa Romeo, uno dei quattordici brand di Stellantis, è tra i trend topics della settimana. Se ne parla non solo per la novità del veicolo, primo elettrico della casa del biscione, ma anche per le tensioni tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso e il CEO di Stellantis Tavares. Il primo ha polemizzato sulla scelta del nome, sostenendo che sia illegale chiamare con il nome di una città italiana un veicolo che non è prodotto in Italia (la produzione sarà interamente in Polonia). Il secondo ha risposto che la scelta è stata determinata dai costi di produzione: se il SUV venisse prodotto in Italia, il prezzo di vendita nel nostro Paese sarebbe superiore di 10 mila euro. La scelta è dunque finalizzata a rendere il mezzo più accessibile, anche al pubblico italiano. Dopo giorni di polemiche, la casa automobilistica ha deciso di cambiare il nome del Suv, che non si chiamerà più Milano ma Junior. Uno spettacolo indecoroso.

Aldilà delle ragioni che possono aver giustificato l’una o l’altra posizione, questo fatto evidenza ancora una volta la mancanza di una visione di politica industriale europea. Così come le tergiversazioni sul caso ITA Airways-Lufthansa, il caso Stellantis indica che la disponibilità a mettere in comune le risorse e la produzione industriale livello europeo è ancora scarsa. Gli interessi nazionali sono troppo forti e si è molto gelosi dei propri assets.

Nel nuovo contesto socio-economico, in cui si registra un crescente interventismo dei Governi, la politica industriale è tornata ad avere un ruolo chiave, in quanto pedina fondamentale per guadagnare una posizione di rilievo nei nuovi equilibri geopolitici. Tuttavia, mentre gli altri attori si muovono per creare alleanze e stringere patti commerciali, l’Europa continua a litigare in casa propria.

Solo per citare alcuni fatti delle ultime settimane, Taiwan Semiconductor Manufactoring Company (TSMC), la più grande fabbrica di semiconduttori taiwanese, ha siglato un importante accordo commerciale con gli Stati Uniti, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha incontrato XI Jinping per rafforzare l’asse industriale Mosca-Pechino, lo stesso Presidente della Repubblica popolare cinese ha incontrato alcuni dei più importanti imprenditori statunitensi per incoraggiarli a investire nel proprio Paese, la segretaria del Tesoro statunitense Janet Yellen si è recata anch’essa in Cina per ricucire le relazioni economiche tra le due potenze rivali.

Mentre accade tutto questo, in Europa si fatica a trovare accordi tra Paesi membri della stessa Unione. Il caso ITA Airways-Lufthansa si trascina ormai da mesi senza raggiungere una soluzione, e si discute sul nome e il luogo di produzione di un SUV. Non sembra preoccupare il fatto che le auto elettriche Made in China invaderanno presto il mercato europeo. Invece che fare fronte comune e sostenere la produzione di veicoli innovativi Made in Europe, si preferisce continuare a mettersi i bastoni tra le ruote. Si diventa miopi tanto da non vedere i potenziali ritorni economici e di visibilità che l’Italia avrebbe potuto avere chiamando con il nome di un’importante città italiana uno di questi veicoli all’avanguardia. Risultato: il SUV non sarà comunque prodotto in Italia e ora non avrà neppure il nome italiano.

Stellantis, con sede legale e operativa nei Paesi Bassi, è una delle più grandi multinazionali mondali. Certo, alcune sue scelte sono state controverse, soprattutto rispetto alla gestione degli impianti di produzione in Italia. Tuttavia, questa società rappresenta uno dei pochi casi in cui diversi brand europei sono stati riuniti sotto un unico cappello per creare un modello competitivo a livello mondiale. Un esempio di politica industriale europea.

Stupisce che di fronte ad aziende che decidono di non produrre in Italia la sola cosa che si riesca a fare è accusarle, senza mai riflettere su possibili soluzioni vantaggiose per trattenerle. Il mercato e l’economia hanno delle regole, che, piaccia o no, occorre considerare. Una di queste è che è molto improbabile che una multinazionale scelga di produrre in un posto se può farlo altrove a più basso costo. È il principio di efficienza, fare di più, o lo stesso, usando meno risorse e spendendo meno. Fatti come questo di certo non invogliano le grandi imprese a investire nel nostro Paese.

Occorre abbandonare una visione provinciale e iniziare a progettare una politica industriale europea. Le imminenti elezioni possono essere un’occasione per farlo. I continui litigi tra Paesi membri non fanno altro che indebolire l’Europa dall’interno e farla apparire fragile all’esterno. Durante l’ultima Scuola di Formazione Politica promossa dalla Fondazione per la Sussidiarietà, Lucio Caracciolo ha sottolineato l’assenza di un popolo europeo. Fatti come il caso SUV (ex) Milano sembrano confermare questa constatazione. Dopo l’unità d’Italia D’Azeglio disse “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani”. Ora potremmo dire “Fatta l’Europa, bisogna fare gli Europei”

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