Per le elezioni europee ci sarà una valanga di disinformazione, promossa soprattutto dalla Russia. Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea, lo ha evidenziato qualche giorno fa. La Repubblica Ceca ha già individuato possibili legami finanziari tra i deputati europei e Mosca. All’inizio dell’anno la Commissione ha chiesto alle grandi piattaforme digitali informazioni su come stanno lavorando per combattere le fake news. C’è un certo consenso tra gli esperti: la disinformazione non scomparirà e per combatterla è necessario promuovere “l’alfabetizzazione digitale”.
Ogni processo di alfabetizzazione, sia esso analogico o digitale, ogni apprendimento è supportato dalla – e favorisce la – fiducia nella propria capacità critica. Ed è proprio questo che manca. Lo ha spiegato bene James Baldwin, in un testo dedicato agli Stati Uniti, ma che aiuta a capire cosa sta succedendo nell’Europa del XXI secolo: “Qualcosa di molto sinistro accade alla gente di un Paese quando comincia a diffidare tanto delle proprie reazioni così come succede qui e a diventare triste”. E aggiungeva: “Quella particolare incertezza degli americani bianchi, quell’incapacità di rinnovarsi alla fonte della propria vita, rende molto difficile discutere, per non parlare di chiarire qualsiasi enigma (cioè qualsiasi realtà). La persona che diffida di se stessa manca di ancoraggio alla realtà (…), una persona così pone niente meno che un labirinto di atteggiamenti tra sé e la realtà”. Sono atteggiamenti che non hanno nulla a che fare con il presente, né con la persona.
Non esiste alfabetizzazione senza collegamento con la realtà, senza fiducia nelle proprie reazioni. Senza quella fiducia, siamo dominati dalla “idolatria della norma”. Questa è l’espressione che il filosofo Charles Taylor ha usato per spiegare il momento in cui viviamo. Alessandra Gerolin, che conosce bene il pensiero del canadese, ha spiegato in una recente intervista in cosa consiste “l’idolatria della norma”. Di fronte alla mancanza di fiducia in se stessi, “la sicurezza e la certezza sono affidate a una tradizione precedente (reale o presunta)” con contenuti considerati perenni e immutabili (..) “che vengono confermati con l’etica e le norme. Si pone un’enfasi quasi esclusiva su cos’è corretto fare”.
Un sistema di regole ci fornisce, in teoria, maggiore “sicurezza”, ci “protegge” dagli errori, ha il merito di offrirci una conoscenza basata sulla chiarezza e sull’evidenza di alcuni procedimenti cui
Agli “idolatri della norma” Taylor contrappone i “cercatori di significato“. Se un giorno noi europei riusciremo a riconnetterci con la realtà, a distinguere le informazioni vere da quelle false, sarà perché siamo entrati nel loro club. I cercatori di significato – commenta Gerolin spiegando Taylor – “non scambiano la ricerca per una certezza che non si acquisisce attraverso l’esperienza, attraverso un cammino libero, attraverso una valutazione effettuata personalmente (…). I cercatori di significato sono coloro che hanno la pazienza di fermarsi sulla domanda senza affrettarsi ad arrivare a una risposta così come intesa dall’Illuminismo (una formula dottrinale che non giunge dalle viscere del soggetto incarnato). Sono consapevoli che nella domanda risiede già la risposta”.
“La ricerca di significato”, conclude, “ci invita a un lavoro di autocomprensione e di interpretazione del mondo in cui viviamo (il che, inevitabilmente, ci obbliga ad attraversare l’incertezza e a confrontarci con la possibilità dell’errore)”. Quale allenamento migliore per acquisire evidenze solide e alfabetizzarsi?
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