Può sembrare una questione di linguaggio, ma come spesso succede le questioni di linguaggio in realtà si rivelano essere questioni di sostanza. Solo a titolo di esempio, visto che chi scrive si occupa di sanità, facciamo il caso del Servizio sanitario nazionale (Ssn), perché si leggono spesso espressioni del tipo “abbiamo bisogno di un servizio sanitario nazionale pubblico” (si veda, ad esempio, il recente appello firmato da 14 scienziati: “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico”), dove è evidente, considerato che nel nostro Paese già c’è un servizio sanitario nazionale, che l’accento della affermazione non cade sulla parola “bisogno” bensì sulla parola “pubblico”.
E allora, se non è un problema di linguaggio ma di sostanza, andiamo a vedere perché, e dove, c’è la sostanza. Cominciamo col chiarire subito che il nostro Ssn è definito dalle leggi che lo hanno istituito (833/1978) e poi modificato (502/1992, 517/1993, 229/1999) per portarlo a quello che (piaccia o non piaccia) è oggi. Da queste leggi non hanno preso forma diversi servizi sanitari nazionali, uno pubblico e uno non pubblico, uno universalistico e uno selettivo, uno egualitario e uno differenziato, uno equo e uno iniquo, e così via, ma esiste un unico servizio sanitario nazionale formato da erogatori di diritto pubblico ed erogatori di diritto privato ma accreditati (o parificati).
L’aggettivo “pubblico” di cui viene ripetutamente richiesta la presenza è quindi un termine non solo inutile e pletorico, ma la cui aggiunta è totalmente fuorviante perché induce a pensare che vi siano più servizi sanitari, di cui uno pubblico da preservare e favorire in contrapposizione ad altri che pubblici non sono e che sarebbero da contrastare. Il contraltare del servizio sanitario pubblico in genere non è esplicitamente nominato, ma quando lo è il riferimento va alla contrapposizione pubblico-privato, spesso sottintendendo che pubblico significa buono, gratuito, costituzionale, …, mentre privato vuol dire non buono, a pagamento, non costituzionale, …; portandosi dietro una serie di equivoci che questo contributo vorrebbe aiutare a chiarire partendo dalle fondamenta.
Si è già detto che le leggi che hanno dato forma all’attuale servizio sanitario nazionale hanno previsto la presenza contemporanea, e a parità di regole nei confronti del cittadino (in termini di accesso, ticket, esenzioni, accreditamento, …), di erogatori di servizi sia che hanno natura pubblica, sia che hanno natura privata (purché accreditati o parificati). Questo insieme costituisce il servizio sanitario nazionale e viene finanziato con il fondo sanitario nazionale (costruito a partire dalla tassazione). Che poi oltre a questi vi siano altri erogatori che offrono servizi sanitari e sociosanitari al di fuori del Ssn è del tutto evidente, ma si tratta di attività (che per la loro natura devono comunque essere autorizzate dall’ente di diritto pubblico competente) che non fanno parte del Ssn, rappresentano un rischio di impresa per chi intende erogarle e vivono di regole proprie (accesso, tariffe, …) che nulla hanno a che fare con il Ssn. Da questo primo punto di vista (costituzionale, di legge) non esiste perciò una contrapposizione tra Ssn pubblico e Ssn privato, sia perché nel primo il privato è presente (accreditato, parificato) insieme al pubblico (anche se ci sono correnti di pensiero che vorrebbero espellere dal Ssn questo privato), sia perché il secondo non è un servizio sanitario nazionale ma solo un insieme di erogatori che esercitano delle attività in campo sanitario e sociosanitario.
Un secondo punto di vista riguarda il pagamento delle prestazioni erogate per cui la parola “pubblico” viene associata all’idea di gratuità mentre la parola “privato” evoca la necessità di un pagamento. Anche questa contrapposizione è errata. Se da una parte è vero che la prestazione usufruita al di fuori del Ssn richiede necessariamente e sempre una transazione economica lasciata alle regole del libero mercato, la stessa prestazione presso un erogatore privato accreditato o parificato (cioè che fa parte del Ssn) segue invece le stesse regole di pagamento dell’erogatore di diritto pubblico. Non solo, nell’intero Ssn (pubblico e privato accreditato) le prestazioni non sono necessariamente gratuite perché per alcune di esse è prevista la compartecipazione del cittadino (ticket per prestazioni specialistiche ambulatoriali e farmaceutiche, parziale copertura delle rette in RSA, …), mentre per altre (Attività libero professionale intramuraria – ALPI – nelle strutture di diritto pubblico) è previsto il pagamento dell’intera prestazione. Anche da questo secondo punto di vista (pagamento della prestazione) non c’è una contrapposizione pubblico-privato che richieda l’aggiunta del termine “pubblico” al Ssn: avendone chiarito il significato è evidente che c’è del “privato” nel pubblico e del “pubblico” nel privato.
Un terzo punto di vista è la valutazione che attribuisce al pubblico una aureola di bontà (espressa attraverso diverse tipologie di aggettivi) e al privato invece uno stigma di negatività. Anche questa contrapposizione è errata e va per altro contestualizzata. Tra le strutture del Ssn che vengono usualmente sottoposte a valutazione (si veda, ad esempio, il programma di valutazione degli esiti curato da Agenas) ci sono strutture sia pubbliche che private accreditate che vengono sistematicamente valutate in maniera positiva e ci sono strutture sia pubbliche che private accreditate che ricevono invece valutazioni negative. E lo stesso succede con le valutazioni effettuate a livello internazionale (è il caso, ad esempio, delle classifiche compilate dalla rivista Newsweek).
Nulla invece sappiamo, in genere, delle valutazioni che hanno come oggetto gli erogatori privati che non fanno parte del Ssn. E i punti di vista con cui possiamo guardare la sanità possono essere anche molti altri come i tempi di attesa per le prestazioni, la soddisfazione degli utenti, ecc., ma il risultato è sempre lo stesso: non vi è alcun motivo per cui vi sia la necessità di qualificare il Ssn di cui abbiamo bisogno come “pubblico”. Serve invece un unico Ssn che sia equo, ugualitario, efficace, efficiente, ecc. ecc., a prescindere dal diritto pubblico o privato (e accreditato) a cui fanno riferimento gli erogatori del servizio sanitario nazionale.
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