Quando – pochi giorni fa – l’Amministrazione Usa ha deciso di triplicare i dazi sull’acciaio cinese sui media non s’è aperto alcun dibattito sul brusco ritorno del protezionismo alle frontiere del Paese-guida della globalizzazione di mercato. Il confronto è ruotato su questioni specifiche: come strumento di politica economica a difesa del sistema produttivo sono migliori i dazi contro la concorrenza esterna oppure i sussidi diretti alle imprese? E quali settori sono i candidati a nuovi interventi di public policy?

La politica industriale è definitivamente ridiventata argomento del giorno. È un mantra di governo oltre Atlantico in attesa che – verosimilmente – riconquisti il centro del tavolo a livello Ue dopo il voto europeo. Nel frattempo i singoli Stati-membri si ritrovano a fare i conti con rebus resi solo più complicati dalle spinte a incrementare subito i quattrini in tasca agli elettori-consumatori. E se nell’agenda dell’Esecutivo è spuntata l’ipotesi di uno sgravio fiscale in corsa simile a quello deciso da Renzi alla vigilia dell’euro-voto 2014, la politica finanziaria è annodata attorno all’eredità del Superbonus: che ha favorito proprietari di casa e imprese edilizie, ma con una logica molto elementare e datata di uso sviluppista della leva fiscale, mentre anche sul progress del Pnrr italiano i giudizi non sono lusinghieri né in patria, né a Bruxelles. Non sono visibili tempi serrati ma neppure uno sforzo poderoso sui binari della transizione eco-energetica e digitale.

Il Presidente Biden ha messo in campo un Inflation Reduction Act per centinaia di miliardi mirato alla sostenibilità energetica degli Usa e un Chip Act confrontabile per riportare in America la produzione dei componenti base sia della difesa che dell’intelligenza artificiale.

È su questo sfondo che in Italia hanno cominciato a levarsi voci in favore di un “Piano nazionale Industria 5.0”. Del precedente – varata dal ministro Carlo Calenda nel 2017, sul finire della legislatura di centrosinistra – sono rimaste tracce importanti, anche se ormai datate. Il successivo quinquennio – politicamente dominato da M5S – ha smontato anche l’approccio e le misure di incentivazione fiscale di “Industria 4.0”. Che tuttavia resta esemplare di uno stimolo win-win all’interno dell’Azienda-Italia: che anzitutto ha sollecitato il settore delle macchine utensili – oggi meglio: meccatronica – cioè una delle punte di lancia del Made in Italy tecnologico. Ma “super-ammortamento” e “iper-ammortamento” sugli investimenti in macchine e sistemi digitali di nuova generazione per l’ottimizzazione produttiva hanno generato innovazione reale all’interno di migliaia di fabbriche italiane, svecchiandone il parco-macchine Hanno chiamato nuova occupazione di qualità, mettendo “in linea” politecnici italiani e promuovendo nuovi ITS.

Biden non avrebbe pochi dubbi, non solo di fronte al netto calo degli ordini annunciato per il settore dall’Ucimu, l’associazione di categoria. Vedremo se il Governo Meloni avrà il coraggio di inserire “Industria 5.0” nella manovra 2025.

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