Per la prima volta un pontefice partecipa al G7. A metà giugno Francesco interverrà a Borgo Egnazia, in Puglia, al summit dei leader dei sette Paesi democratici più industrializzati del mondo (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Giappone, Germania, Francia e Italia, più l’Unione Europea). Questa è già una notizia non da poco. Ma ancor più lo è il fatto che il tema è l’Intelligenza artificiale. Che c’entra il papa con l’IA?
L’Intelligenza artificiale è la capacità di certe macchine di simulare processi di apprendimento del cervello umano, basandosi sull’assorbimento di una immensa quantità di dati, di svolgere determinate attività in modo tendenzialmente sempre più autonomo, di prevedere e predire eventi e di orientare e condizionare comportamenti.
Teorizzata già alla metà del secolo scorso da scienziati americani, l’IA oggi permea praticamente tutte le attività umane: comunicazione, produzione e lavoro, logistica, mobilità e trasporti, pubblica amministrazione, finanza. E guerra. E poi consumi, vita quotidiana e rapporti personali. Di solito a nostra insaputa. Ma per farsi un’idea basterebbe controllare quanto tempo della nostra giornata assorbe lo smartphone che abbiamo in tasca, o i consigli per i prossimi acquisti che ci propina Amazon, o in quali circuiti chiusi di tribù pseudo-identitarie, nutrite di futilità esibizioniste o di odio per il nemico, gli algoritmi dei social tendono a spingerci.
Padre Benanti, francescano e docente alla Gregoriana, è tra i massimi esperti della materia a livello mondiale. Consulente del papa, è membro (unico italiano) del New Artificial Intelligence Advisory Board delle Nazioni Unite e, da gennaio 2024, è stato voluto da Giorgia Meloni come presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale per l’informazione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Benanti afferma che c’è un Nuovo Potere, che è il Potere Computazionale. Cioè il potere del calcolo (algoritmo), basato esclusivamente sulla realtà in quanto misurabile. Esso può essere utilizzato a fini buoni per l’uomo o a fini cattivi. In ogni caso è un potere straordinario in mano a chi lo possiede.
Ci troviamo di fronte a una molteplicità di sfide epocali. Forse riconducibili a due dimensioni: antropologica e geo-politica. La sfida antropologica: per la prima volta nella storia l’homo sapiens si trova di fronte a un altro essere sapiens, o che del sapiens ha molti, moltissimi tratti. Questa può essere una formidabile opportunità di lasciare venir su le grandi domande: chi è l’uomo? chi sono io? in cosa consiste il mio essere persona? sono o non sono unico e irripetibile? Che cosa davvero significa essere libero, se l’IA è in grado di prevedere e condizionare i miei comportamenti? Peraltro, a ben considerare le cose, l’IA ingoia dati, elabora e sputa risposte; porsi domande è invece dell’uomo, perché l’uomo è domanda. “La sfida non è della macchina in sé – sostiene Benanti – ma in quello che la macchina ci invita a capire della realtà e di noi stessi”. L’IA funziona se la realtà è (solo) un problema da risolvere, è sempre pensiero del docente francescano, ma una domanda esistenziale non è un problema da risolvere, ma una qualità di esperienza da vivere, molto umana e poco artificiale”. E a proposito di domanda, un altro grande studioso di comunicazione, Derrick De Kerkhove, unanimemente considerato erede di Marshall McLuhan, invita insegnanti ed educatori a insegnare non le risposte a memoria (questo lo può fare benissimo la macchina), ma insegnare a fare le domande”.
La sfida geo-politica. Chi detiene il potere dell’IA – che alla fine della fiera è un grande apparato economico-militare – ha in mano qualcosa di determinante la condizione dei popoli del pianeta: la pace o la guerra, la giustizia economica o la discriminazione, la dignità del lavoro e l’importanza dell’occupazione o il suo contrario. C’è una gigantesca questione etica. Si tratta di elaborare insieme quella che Benanti chiama (fondendo le parole algoritmo ed etica) algoretica, cioè affermare principi per così dire non negoziabili che affermino la sottomissione del potere tecnologico all’ideale del bene umano. E c’è una gigantesca questione di governance. C’è uno strapotere di fatto delle multinazionali digitali, le quali non possono esser le sole a guidare i processi. Occorre la compresenza di un altro soggetto rappresentativo degli interessi delle popolazioni, e questo è lo Stato nazionale. Se lo Stato è democratico, e non si serve dell’IA per controllare fin nel privato i sudditi.
Ma nemmeno lo Stato nazionale da solo basta. Data la portata globale dell’Intelligenza artificiale, sono chiamate in causa le Organizzazioni internazionali. “Essi possono svolgere un ruolo decisivo nel raggiungere accordi multilaterali e nel coordinarne l’applicazione e l’attuazione” ha scritto papa Francesco nel Messaggio per la Giornata della Pace di quest’anno. “Esorto la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante”, con l’obiettivo non solo di frenare le cattive pratiche ma di incentivare quelle buone. Insomma Francesco va al G7 perché è sul pezzo.
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