Larry Fink, capo di Blackrock, è il più importante gestore di fondi del pianeta: il suo gruppo amministra 10 trilioni di dollari di capitali istituzionali e risparmi privati, raccolti in un centinaio di Paesi. La sua Lettera annuale agli investitori contiene da anni le vere “considerazioni finali” di Wall Street. In quella appena pubblicata per il 2024, Fink affronta di petto il tema della riforma delle pensioni: particolarmente sentito negli Usa, ma di crescente attenzione politico-finanziaria anche in Europa.
L’analisi di Fink – un boomer 65enne – è concisa e ruvida e parte dalla sua esperienza familiare. I suoi genitori (un negoziante di scarpe e un’insegnante, nati fra le due guerre mondiali nella cosiddetta “Grande Generazione”) hanno potuto godere di una “vecchiaia finanziariamente libera” perché avevano regolarmente risparmiato quote non trascurabili dei loro redditi; e li avevano investiti in strumenti di mercato. E le loro aspettative di vita – poi proiettatesi in vite medie effettive – erano nettamente inferiori a quelle dei loro figli boomer e poi delle varie generazioni successive (X, Z e “millennials”).
Queste ultime, dal canto loro, non hanno spostato in là l’età media del “retirement” in misura statisticamente coerente con il sostanziale aumento della vita media. E – quel che Fink segnala con toni da “allarme rosso” – le generazioni più giovani hanno pure fortemente diminuito la loro propensione al risparmio previdenziale: in particolare, solo il 12% delle famiglie americane investe in “individual retirement account”, cioè in piani pensionistici complementari che non solo negli Usa sono fiscalmente agevolati.
Questo per il Ceo di Blackrock non è però sorprendente: poche famiglie americane – soprattutto nelle fasce di redditi medio bassi – possono ricavare risparmio previdenziale dopo aver fatto fronte a carichi crescenti per rate di muto, spese sanitarie e scolastiche. Avviene però così – sottolinea Fink – “che noi investiamo enormi energie per aiutare le persone a vivere vite più lunghe, ma non impieghiamo neppure frazioni molto minori di risorse per consentire a quelle persone di potersi permettere quegli anni in più di vita”.
“Le pensioni e la loro riforma sono un problema molto più grosso di trent’anni fa e lo saranno ancor di più fra trent’anni”, taglia corto il mega-gestore, per il quale l’Azienda America deve essere sincera con i suoi lavoratori (ma sullo sfondo si staglia anche la responsabilità politica del futuro Presidente, chiunque sia). Gli americani devono convincersi “ad avere paura per le loro pensioni”: quindi ad accettare ritiri in età più avanzata e riduzioni di consumi a favore di investimenti più sostanziosi in piani pensionistici.
Quello del numero uno di Blackrock appare certamente un punto di vista pragmatico e interessato: imperniato sul rilancio del ruolo efficace dei mercati finanziari per risolvere problematiche politico-sociali. Però le implicazioni politiche del “memo” sull’emergenza-riforma pensioni sembrano tutt’altro che teoriche: guardano anzitutto in direzione di un aumento generalizzato dei redditi da lavoro con un riequilibro fiscale delle diseguaglianze socio-economiche (è nel programma del ricandidato Joe Biden, non in quello di Donald Trump).
Più in là – ma non troppo – compare una questione che può riguardare anche un Paese come l’Italia: storicamente molto più risparmiatore degli Usa, ma anche molto tributario del suo risparmio a gestori globali come Blackrock. I quali – sicuramente – sono pronti ad assecondare attraverso investimenti di mercato i riorientamenti macroeconomici imposti dai nuovi scenari geopolitici (la reindustrializzazione dell’America – dell’Occidente – è il principale di questi, declinata in una transizione verde ripensata, ma anche in una transizione tecnologica potenziata). Un Governo come quello italiano non può avere la pretesa di rinazionalizzare i flussi di risparmio – anche previdenziale – su mercati globalizzati. Ma può – e deve – pretendere attenzione per i flussi d’investimento su proprie strategie nazionali di sviluppo-Paese.
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