In prossimità delle elezioni europee, ci si chiede quale sarà il livello di partecipazione al voto, uno degli aspetti più inquietanti dell’attuale crisi delle democrazie. Queste, infatti, non sono tali solo in virtù della possibilità di votare liberamente, ma quando si sviluppano da un corpo sociale che partecipa attivamente allo sviluppo del bene comune, formando una classe dirigente che sappia leggere la realtà e formulare proposte politiche in risposta ai bisogni delle persone.

Chi governa ha nello stesso tempo l’obbligo negativo di astenersi dall’intervento quando gli individui e le associazioni possono più adeguatamente svolgere una determinata funzione e l’obbligo positivo di aiutare e sostenere la libera iniziativa dei singoli e delle realtà sociali, quando questo è necessario.

Si tratta di vedere, ascoltare, valorizzare ciò che esiste originariamente e liberamente si sviluppa come risposta dal basso ai bisogni dei singoli e della collettività. Quello che riguarda più specificamente i partiti è non solo dialogare, ma farsi innervare dai corpi intermedi, incentivando e valorizzando chi voglia passare a un impegno politico diretto, facendo un’esperienza sul campo.

Si tratta di una rilettura più moderna, originale e sintetica della sussidiarietà fatta anche da Nadia Urbinati: “La sussidiarietà è una modalità attraverso cui realtà sociali ed economiche (privati, comunità, imprese e amministrazioni locali dello Stato) coordinano le loro azioni in relazione a obiettivi specifici (assistere chi ne ha bisogno, svolgere servizi, dalla scuola alla sanità, ecc.), generando buone pratiche e norme che legano tra loro le persone e ne consolidano la cooperazione”.

Occorre dire che la crescita della cultura e della pratica della disintermediazione politica e l’affermarsi del modello della democrazia immediata e plebiscitaria possono essere fermati. Il terreno sul quale la partita sarà vinta o perduta è proprio quello della valorizzazione e del rilancio del ruolo, anche politico, delle comunità intermedie e della riattivazione della cultura della mediazione e del dialogo sociale e istituzionale. Dunque, dell’attuazione in concreto della cultura della sussidiarietà.

Questo è l’unico strumento disponibile da subito per contrastare la sensazione largamente diffusa, non solo nel nostro Paese, che la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, le migrazioni di massa, da un lato, e l’affermarsi di poteri sovranazionali (i mercati, la finanza globale, l’Unione europea, le agenzie di rating) dall’altro, abbiano sottratto ai cittadini (al popolo sovrano) il controllo sulle scelte dalle quali dipende il loro futuro.

Altrimenti, l’unica possibilità di riprendere il controllo rimarrebbe quella di esprimersi direttamente nei referendum o di delegare i poteri a un capo che possa rappresentare la volontà della maggioranza.

Per questo è necessario che si ricostruiscano nessi organici tra i partiti e la società. In altre parole, occorre dare voce ai bisogni sociali che devono trovare voce politica, per contestare o per proporre. È un percorso da costruire: se non lo si fa ci si deve adattare a democrazie populistiche e a forme monocratiche che hanno come esito forme autoritarie di ritorno.

A tale riguardo, Francesco Occhetta ha di recente proposto considerazioni di indubbio interesse, che val la pena richiamare: “Non è più sufficiente dirci che la democrazia è la migliore forma di governo. È un vaso di cristallo, perciò fragile, che ha bisogno di essere continuamente rigenerato dalla responsabilità individuale e della comunità civile. Un modello ancora molto giovane, non ancora compiuto, sempre in divenire e sempre sotto attacco. Ma è l’unico che assicura o dovrebbe assicurare l’espressione e la cura dei diritti della persona. Non per principio, non sulla carta. Ma grazie a una cultura vivace, spesso nascosta, ma dalle solide radici”.

Contro la degenerazione populista della democrazia, che ne mette a rischio il fondamento autentico, felicemente identificato dai Costituenti nella “dignità della persona umana”, Occhetta sostiene che la “nuova linfa”, di cui hanno bisogno le nostre democrazie indebolite può venire solo da un pensiero capace di riconnettere democrazia, diritti e sussidiarietà.

È un dinamismo già in atto, anche se non molti ne hanno coscienza. “Se il Paese è cresciuto – prosegue infatti Occhetta – lo si deve a questa radice culturale nascosta, ma ancora vivente, che permette alla giustizia di essere riparativa e non vendicativa, al lavoro di essere pagato, alla dignità rispettata, all’accoglienza di essere una rinascita sociale invece di una minaccia”.

Sono considerazioni che ritornano attuali all’approssimarsi di una campagna elettorale europea in cui i partiti parlano di tutto, tranne che dei temi in gioco. Sembra che interessi solo contarsi in funzione del potere nazionale piuttosto che riflettere in modo credibile sul futuro dell’Unione europea.

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