Mexico e nuvole (e natalità)

La recente contestazione della ministra Roccella ripropone il tema della natalità. Oltre al welfare c'è una riforma grande da fare e riguarda l'io

“Sul mio corpo decido io”. Lo sapete, è quanto hanno scritto sui loro cartelli le decine di ragazzi e ragazze di Aracne. Quelli che gli è bastato fare senza troppa fatica un po’ di casino agli Stati generali della natalità per spostare i riflettori e l’attenzione da un problema serissimo (l’inverno demografico) al solito ridicolo scazzo sul de nihilo ideologico, un equivoco e vacuo mescolone anti-Roccella, anti-Valditara, anti-antiaborto, antifascista, anti-israeliano e anti vattelapesca.

Va be’, farei presto a dire che quei ragazzi sono dei poveri ciula o dei piccoli apprendisti intolleranti. Questo lo pensano anche quelli che li difendono, inutile infierire. Ho sempre letto con interesse cartelli, scritte sui muri ed estenuanti tazebao post-sessantottini. Faccio lo stesso con il cartello di questo Aracne. “Sul mio corpo decido io” è un principio giusto e non negoziabile. Anche il solo sospetto che qualcun altro voglia decidere al posto tuo manda in bestia. Fin qui mi iscrivo ad Aracne. Da qui in poi, divergo.

Per due considerazioni. La prima: c’è sì un potere che vuole decidere che fare del mio corpo, ma non sono né il potere politico né il potere ecclesiastico. Quand’anche lo volessero, il che non è, sono del tutto impotenti a costringere e incapaci di convincere. È invece il potere della mercificazione consumistica attraverso la moda e la mentalità dominante. Come tagliarti i capelli, come tatuarti, come apparire, come non avere un chilo in più, come far vedere quanto sei figo, che pizza mangi, come vuoi far credere che ti diverti, quanto sei progressista e à la page. Insomma il potere decide come il tuo corpo deve mostrare che non sei uno sfigato, anche se dentro il tuo povero io si sente un’ameba.

La seconda considerazione: il corpo è mio ma non me lo sono dato io e nemmeno è oggetto della mia autodeterminazione. I capelli imbiancano, sì, potrei tingerli, ma sotto restano bianchi. Non puoi impedire a un brufolone di segnarti il collo. Le energie col tempo calano, e non bastano le palestre di mezzo mondo. Ti ammali non quando lo decidi. Ti curi, guarisci, oppure no, o non del tutto. E quando è ora di andare di là, ciao. Ma è qui il bello: il corpo è un dono, è veicolo della bellezza e strumento del godimento della vita proprio in quanto esso corrisponde a ciò per cui è stato fatto: vale a dire in funzione della pienezza della vita, la pienezza amorosa della vita che per sua natura è generativa. Diamo per scontato, ma in realtà è stupefacente, che gli atti necessari per gli scopi fondamentali del corpo, che sono mantenere e far crescere l’io (il mangiare e il bere) e generare nuove vite (fare l’amore) sono intimamente connessi a un’esperienza di piacevolezza e soddisfazione. Pensate se così non fosse…

Il corpo come dono, e quindi lo scopo assunto dalla libertà come un compito: questo è, credo, il cambiamento culturale necessario. Non è vero che le giovani coppie non desiderano figli: li desiderano, ma qualcosa frena la realizzazione di questo desiderio: l’insicurezza. L’insicurezza economica, certamente. Dovuta innanzitutto al modello di sviluppo che fa crescere in modo esponenziale i consumi e non altrettanto la remunerazione del lavoro. Negli anni 60 con uno stipendio normale la famiglia poteva vivere, oggi no. Nascevano 1 milione di bambini all’anno. Nel 2008 poco più della metà, nel 2015 siamo scesi sotto i 500mila, nel 2021 sotto i 400mila. Sono fondamentali politiche per la famiglia decise e permanenti. Assegno unico, congedi parentali, part time, smart working, asili nido. Tenendo conto che la politica conta sempre di meno e il mercato sempre di più. Che gli investimenti in materia vanno decisamente aumentati (possibilmente indicando dove invece le spese vanno tagliate, perché la coperta è corta).

In Europa ci sono esempi  di come le donne fanno più figli dove le politiche familiari sono più sostanziose (per esempio la Francia, o la Finlandia). In Italia il Trentino-Alto Adige è la regione più prolifica, e quella con notevoli politiche familiari, oltre che con un reddito medio rispettabile. Ma ci sono cifre che raccontano un’altra storia: nel Sud (più povero quanto a reddito pro-capite e a welfare famigliare) il tasso di natalità è un poco superiore a quello del Nord. I soldi non sono tutto nella vita. L’insicurezza economica va decisamente contrastata, non v’è dubbio. E tra parentesi un welfare più robusto non potrà che essere sussidiario, valorizzatore del privato e del terzo settore, lo Stato dappertutto non ci arriva, non è neanche bene che ci arrivi, e oltretutto poi mancano i soldi. Bello il Family Act, per esempio; ma, come per tutte le leggi, se poi non si fanno i decreti attuativi è inutile. Per capire che peso ha la sussidiarietà, pensate solo a chi ha i nonni-scuola bus o i nonni-asilo nido e chi no.

Detto questo, c’è un’altra insicurezza che si frappone tra il desiderio di figli e la sua realizzazione. Ed è un’insicurezza esistenziale, una debolezza dell’io, in questi decenni sempre più caricato dell’illusione di realizzarsi attraverso sempre più variegati diritti individualistici e sempre più schiacciato e smarrito dall’indebolirsi delle trame di concreta socialità quotidiana (si pensi alla differenza fra un cortile semi-rurale di Vidigulfo e un condominio di 14 piani a Quarto Oggiaro, ma foss’anche a City Life con 150 metri quadri di cabina armadio). L’insicurezza esistenziale ci caratterizza dentro, “chi lo sa come fa / certa gente che va fin là a pronunciare un sì / anche se sa che è già / provvisorio l’amore che / c’è sì ma forse no… mah” (Mexico e Nuvole, 1970)

Una volta ci si illudeva di contrastare l’incertezza con l’obbligo morale e la paura del peccato. Cosa che con uno slogan ingiustamente beffardo le femministe di allora echeggiavano, “Non lo fo per piacer mio ma per dare figli a Dio”. Si è visto quanto ha funzionato. Ma, mutatis mutandis, una giovane coppia non può immedesimarsi con un – che so – non lo fo per piacer mio ma per dar risorse al welfare (visto che in un Paese di vecchi salteranno pensioni e sanità).

Si può re-imparare che la vita non è un peso, il lavoro non una condanna, il figlio non è una disgrazia. Si fanno figli se si è certi che la vita è una promessa, l’amore generativo e i figli il più bel dono. Si può imparare solo attraverso l’attrattiva della bellezza di buoni esempi da ammirare e di buone esperienze di socialità e di mutuo aiuto da condividere.

Allora sì, d’accordo, sul mio corpo decido io (no, tu no).

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