È molto probabile, quasi certo, che il risultato elettorale della scorsa domenica in Catalogna non cambierà alcune tendenze di fondo. La Catalogna è una delle regioni della Spagna in cui i cittadini diffidano maggiormente dei propri politici ed è una delle regioni con la maggiore sfiducia interpersonale. A Madrid il 31% della popolazione ha “molta fiducia” nelle persone. In tutta la Spagna la media è del 19%, in Catalogna solo del 14%.
La fiducia è uno degli elementi essenziali di una cultura. Chi ha fiducia ha un’identità solida, cioè un’identità aperta. Clifford Geertz, il grande antropologo americano, spiegava che dietro ogni politica c’è una forza molto più decisiva. Una forza fatta di simboli, atteggiamenti e interpretazioni dell’esistenza. Siamo l’unico animale che interpreta se stesso e tale interpretazione si modifica nel tempo. Cambia in periodi molto più lunghi di quelli segnati da brevi cicli della politica o delle mode intellettuali.
In Medio Oriente non possiamo capire ciò che sta accadendo in questo momento senza comprendere il significato che ebbe la fine dell’Impero Ottomano più di cento anni fa. Lo stesso accade in Europa. La guerra in Ucraina ci ha costretto a rivedere gli effetti della dissoluzione dei grandi imperi europei dopo la Prima guerra mondiale. Dopo l’era sovietica, a volte ci sentiamo come se fossimo tornati dov’eravamo cento anni fa. Ora cominciamo a vedere le conseguenze dell’aver assolutizzato gli Stati. Il sovranismo resiste alle integrazioni regionali che talvolta hanno un solido fondamento storico e culturale. Su scala minore, ma in una chiave simile, si capisce poco di ciò che sta accadendo in questi giorni in Catalogna senza interrogarsi sulle radici culturali della sfiducia interpersonale.
L’intelligenza si raggiunge quando si dà priorità alla cultura e quando si ha una visione di lunga durata. È questa l’espressione, lunga durata, che lo storico Fernand Braudel utilizzava per riferirsi a uno sguardo che va oltre il contingente, l’immediato, uno sguardo che sa catturare l’onda lunga.
Tempo e cultura. Tempo e autocoscienza. Difficilmente si comprende e si agisce per un cambio d’epoca senza queste due chiavi. Ecco perché i tentativi di indurre un cambiamento o di fermarlo facendo affidamento solo e fondamentalmente sul potere, sulla forza dell’organizzazione, sulla forza dello Stato-nazione o di una certa dottrina (religiosa, ideologica, estetica) sono destinati al fallimento e risultano spesso ridicoli. Il tempo è crudele con le forme di potere nudo e con le formule dottrinali che accusano un deficit di cultura, un deficit di vita. È il mondo della vita che giudica e modella il presente.
Per questo è inutile e può diventare patetico che le élite politiche, associative, morali, religiose, le élite del denaro, cerchino di decidere il modo di vivere. La vita è tempo ed è presente, non è uno spazio che si può controllare e limitare. Coloro che governano si incatenano al fallimento quando tentano di definire il perimetro e la forma dell’esistenza. Svolgono il loro ruolo solo se hanno l’intelligenza di obbedire alla vita reale. Perché è il mondo della vita, è la vita che decide, non il presidente di un’azienda, un sacerdote o un politico. I politici catalani dovrebbero tenerne conto ora che devono formare un Governo.
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