La campagna elettorale europea è cominciata. L’agenda dell’Ue è cambiata molto dal voto di cinque anni fa. Abbiamo nuove e vecchie sfide che sono aumentate di intensità. I quattro temi determinanti in questo momento sono l’immigrazione, la sicurezza, il welfare e il rinnovamento della democrazia.

La paura dell’immigrazione attraversa l’Europa e alcuni la sfruttano politicamente. Questa paura ha molto a che fare con la debolezza culturale del Vecchio continente. Molti invocano la tradizione occidentale come un patrimonio da difendere dall’arrivo degli stranieri. In realtà, ciò che è proprio della tradizione europea non è affermare un’identità chiusa, un’identità che abbia conquistato una volta per tutte i suoi valori. Ciò che è caratteristico della vera cultura occidentale è appropriarsi di ciò che è esterno, andare dietro alla verità che c’è in tutte le culture. La caratteristica dell’europeo è l’apertura.

L’Europa non è mai stata uno spazio culturale definito a priori. Essere europei è saper abbeverarsi a fonti che erano e sono fuori dall’Europa. La forza della nostra identità culturale è stata quella di chi ha saputo prendere tutto ciò che di buono e di vero ha trovato sul suo cammino, di chi ha saputo trarre vantaggio anche da quello che appariva più oscuro. Ci siamo sempre mossi dinamicamente tra il mondo classico e la barbarie.

L’incontro con il diverso ci obbliga a scegliere: possiamo costruire muri o ponti. Noi europei abbiamo costruito ponti quando abbiamo avuto la certezza che gli altri fossero un’opportunità per essere più noi stessi. Se ci sentiamo insicuri non è perché nelle nostre strade ci sia più o meno violenza, non è perché chi viene da fuori minaccia ciò che è nostro. Se ci sentiamo insicuri è perché ciò che è nostro è sempre più occupato da un grande vuoto. Gli stranieri non ci rendono più deboli, mettono in luce la nostra debolezza.

L’invasione dell’Ucraina ci ha svegliati. Ci siamo resi conto che le regole del gioco sulla scena mondiale non hanno più nulla a che fare con il multilateralismo e la cooperazione. Di fronte a noi abbiamo la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping. Il Sud del mondo (una volta chiamato Terzo Mondo) si sente più vicino alle autocrazie che all’Occidente europeo. Viviamo in un mondo molto più insicuro e la minaccia di aggressione attraverso guerre convenzionali o guerre ibride (disinformazione, destabilizzazione dei processi elettorali, attacchi tecnologici) non può essere ignorata.

La sfida alla sicurezza fa emergere la necessità di aumentare la spesa per la difesa, l’integrazione tra i diversi eserciti e la possibilità di sviluppare un esercito europeo. Ma ciò che sta accadendo in Ucraina dimostra chiaramente che il fattore umano è essenziale. Non è possibile costruire un sistema di difesa senza europei che si ribellano all’ingiustizia, che non sono disposti a fare sacrifici importanti per non perdere la propria libertà. Dal febbraio 2022, gli ucraini ci insegnano che abbiamo bisogno di soldi, abbiamo bisogno di munizioni. Ma soprattutto che è necessario mantenere viva la forza che dà il desiderio di essere liberi.

La minaccia non è solo esterna. In molte aree del mondo è cresciuto il sostegno all’autoritarismo. In India, la più grande democrazia del mondo, l’85% della popolazione sostiene un regime autocratico. In Messico il 71%. L’epidemia anti-liberale ha raggiunto anche l’Europa. Quasi il 30% degli italiani preferirebbe un leader forte che non fosse soggetto alle regole della separazione dei poteri e del suffragio popolare. In Spagna e Francia siamo intorno al 20%. Il valore della democrazia ha smesso di essere evidente. E in questa circostanza è inutile, come alcuni propongono, una strategia per “proteggerci” dalla cultura asiatica. La democrazia non è uno spazio che si può difendere solo lottando contro la corruzione, rafforzando le istituzioni e con lezioni di “buona cittadinanza”. È anche apprezzamento per la libertà. La democrazia è un processo, una stima per la cosa comune, per il dibattito pubblico, per la scelta, per la responsabilità e il protagonismo nel pubblico che deve essere continuamente riconquistato. La democrazia sarà attraente per le nuove generazioni se si connetterà al loro desiderio di soddisfazione e di essere vincolati solo dalla propria libertà e da quella degli altri.

La prosperità è diventata una questione complessa. Lo Stato sociale ha a che fare con la crescita economica e i servizi pubblici, ma anche con la demografia. Non c’è prosperità senza sviluppo sostenibile e senza uguaglianza.

Abbiamo scoperto che la globalizzazione, non solo quella delle materie prime, ha dei limiti. Dobbiamo ridurre la dipendenza energetica, produrre semiconduttori, proteggere settori strategici come le tecnologie. E questo richiede capacità di innovare, di fare ricerca, di sviluppare talento. Occorrono conoscenza e intelligenza. Occorre un io curioso, sveglio, attento, capace di rischiare, senza paura di sbagliare.

Essere europei, più che mai, richiede amore per la libertà, apertura, un io che lascia accendere il suo nucleo incandescente, nostalgico dell’infinito, di fronte alle sfide e al fascino del reale. Un io che sa costruire sul limite (confine e contingenza).

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