Mentre si avverte di più in ogni parte d’Italia il rischio che venga meno il welfare universalistico che lo Stato ha assicurato per più un secolo, realtà non profit come la Fondazione Famiglia Materna di Rovereto non vengono meno alla promessa del fondatore, anch’esso vissuto più di 100 anni: dare una famiglia a chi non ce l’ha o vive situazioni di disagio e fragilità. Le mode passano, la carità vera dura nel tempo.

Tra le valli e i monti in Trentino si trova da oltre un secolo un’istituzione che ha fatto della solidarietà e dell’accoglienza il suo scopo principale: la Fondazione Famiglia Materna, un vero e proprio faro di speranza per tante madri sole e i loro bambini.

Nel primo dopoguerra Maria Lenner e Padre Emilio Chiocchetti riuscirono nell’intento di aprire una Casa, “Che non sarà – scrivevano ai tempi – né un penitenziario, né un convento. Ma una famiglia”. Questa istituzione, che unisce valore sociale, educativo e culturale, si propone oggi di offrire percorsi di reinserimento familiare, sociale e lavorativo per coloro che si trovano in situazioni di disagio e fragilità.

Oggi nella struttura, situata nel centro di Rovereto trovano spazio in particolare: la casa di accoglienza Sergio Faccioli con 18 posti letto, il servizio “Vivere Insieme” che offre 20 appartamenti in semi autonomia, il servizio di “Foresteria Sociale” con 12 appartamenti in autonomia, il laboratorio e ristorante “Le Formichine” per l’inserimento lavorativo; ma anche la scuola paritaria primaria di primo e secondo grado “La Vela” e un servizio di conciliazione lavorativa 0-6 anni “Centro Freeway”. Tutti servizi che nel corso degli anni si sono strutturati, “non per assistenzialismo, ma per sostenere il cammino personale di ognuna delle mamme accolte”. Lo spiega Arianna, responsabile della casa d’accoglienza. “Tutte storie ‘complicate’. In cui la sfida è sempre la stessa: imparare a essere madri, ma prima di tutto a guardarsi per il valore che si ha. Con speranza”, continua. “Molti dei percorsi non hanno un lieto fine, o almeno dall’esterno potrebbero essere considerate un fallimento. Non è così. Ognuna ha fatto un passo, ritrovando un pezzettino di sé”.

“Quando sono arrivata, nel 2009”, racconta Sara (nome di fantasia), “ero arrabbiata. Mi avevano già tolto due figli. Volevo tenermi stretti gli altri due. Qui mi sono sentita accolta, ho capito che potevo migliorare. Mi sono sentita a casa”. “La cosa che mi ha aiutato di più? La pazienza e il tempo che mi hanno lasciato. Come quando sei con la tua famiglia. Ora ho finito il percorso, ho imparato un lavoro e sono pronta per iniziare un nuovo capitolo con i miei bambini. Ho traslocato da poco, ma torno spesso a salutare o fare due parole con quella che è la mia Famiglia.”

I servizi di Famiglia Materna Vittoria (nome di fantasia) li ha attraversati un po’ tutti: dopo la casa d’accoglienza, è passata all’alloggio in semi autonomia; ora ha un alloggio “tutto suo” nel servizio “Foresteria Sociale” e ha ripreso in mano le sue competenze lavorative attraverso il progetto delle “Formichine”. Si tratta di un’esperienza del fare, a poco a poco, per recuperare abilità, ma soprattutto fiducia in sé stessi. Si tratta di corsi di tirocinio remunerati, strutturati sulla base delle risorse e delle difficoltà delle persone coinvolte. Circa 150 ogni anno. “Perché l’accoglienza è solo il punto da dove partire. È attraverso il lavoro che si riconquista la propria autonomia e la propria dignità”, spiega il direttore di Famiglia Materna, Walter Viola. “In questi anni abbiamo attivato tirocini con più di 150 aziende”. “Ho lavorato nella cucina del ristorante delle Formichine e anche in sala da pranzo. Da lì, un tirocinio in azienda”, continua Vittoria. “Un giorno mi è arrivata la lettera per il contratto di lavoro. Ma capite? Un lavoro, un lavoro vero!”, dice. E prorompe in una risata di gioia.

La sfida per la Fondazione passa anche dai luoghi di rinascita, come “Ortinbosco”: un orto sociale dove le persone possono mettere le mani nella terra e coltivare frutti e verdure. A gestire l’ettaro di terreno sulla collina di Rovereto e il laboratorio di produzione di marmellate, di erbe aromatiche, di passate di pomodoro e di verdure sott’olio, c’è Simone Benetti. “Come si fa a ritrovare la capacità di vedere il bello delle cose? Occorre qualcuno che te lo faccia riscoprire! Ed ecco qui i peperoncini, per esempio: tu inizi a coltivarli, con passione e chi ti aiuta nell’orto ti viene dietro. Vedere le piante crescere dà soddisfazione. Perché ci hai messo tempo e fatica. Qui mica pensiamo di salvare tutti, eh? Seminiamo. E basta”.

Accoglienza, lavoro e educazione: sono questi, infatti, i tre cardini di Famiglia Materna. Lo ripete il suo Presidente, Antonio Planchenstainer “Non c’è una di queste esperienze senza l’altra. Esperienze così legate fra loro da spingere ora alla costruzione di una nuova scuola, per poter diventare all’interno del territorio roveretano: La Cittadella dell’educazione e della Carità. Non a caso lo slogan inserito nel logo è un cuore che abbraccia”.

“Una scuola che è stato deciso di chiamare La Vela. Perché l’educazione funziona così”, spiega il responsabile dell’area istruzione Alessandro Laghi: “Noi costruiamo la vela, mettiamo in campo le nostre forze, ma è il vento (dello Spirito) che soffia per farti andare avanti e navigare in mare aperto”.

In un mondo in cui la solidarietà e l’amore per il prossimo sembrano a volte essere messi in secondo piano, la Fondazione Famiglia Materna ci ricorda che esistono ancora luoghi in cui l’umanità, l’attenzione per l’altro e la convinzione che ogni singola persona sia un valore aggiunto per tutti sono al centro delle relazioni umane. Che sia attraverso l’educazione dei più piccoli, il sostegno alle madri sole o l’inclusione sociale, il desiderio di Fondazione è mostrare che il vero cambiamento è una scelta quotidiana e parte dal cuore di ognuno di noi.

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