La fine delle lezioni nella gran parte delle scuole del reame ripropone l’antico rito degli scrutini. Visto da un punto di vista squisitamente formale, lo scrutinio è il momento in cui una società conferisce a una comunità di docenti il potere di giudicare il percorso formativo di un bambino, di un ragazzo o di un giovane. Proprio perché si tratta di un momento oggettivo di giudizio, lo scrutinio è – per eccellenza – il luogo che si presta maggiormente a incarnare una delle maggiori piaghe del nostro tempo: il moralismo.

Ogni donna e ogni uomo, indipendentemente dalla loro volontà, nascono e crescono in un contesto morale, dove esiste una certa idea di giusto e una certa idea di sbagliato. L’adolescenza è quel momento in cui tutto il paradigma morale di riferimento di una persona viene sostanzialmente messo in discussione fino al punto da poter – in alcuni casi – essere soppiantato da concezioni dell’esistenza pragmatiche, opportunistiche o strettamente legate a una determinata situazione.

È chiaro che, a giudizio di chi scrive, esista una morale oggettiva e insindacabile, ma non è detto che alle ragazze e ai ragazzi siano stati dati gli strumenti adeguati per diventarne consapevoli e accorgersene. Comunque sia, a un certo tornante della vita, ognuno si posiziona e si accasa in un sistema di valori e di convinzioni che scaturiscono direttamente dalle esperienze vissute e riflesse. E si diventa adulti. Ma qui non finisce, anzi inizia, il problema. Infatti l’adulto tende a dimenticarsi che la morale è una conquista, che la posizione etica davanti alla realtà ciascuno se la suda e se la guadagna, altrimenti resta eternamente adolescente, adulto incompiuto.

Il moralismo è proprio quella tendenza che gli adulti hanno a far diventare la loro morale una misura per chi è più giovane. Esso si esplica in alcune notevoli sentenze che nella vita tutti abbiamo potuto sentire o, forse, abbiamo addirittura detto: “Non si fanno le cose così”, “Non sta bene fare così”, “Non ci si comporta in questo modo”, “Non è questo l’atteggiamento opportuno” e molte altre. Il moralismo, inoltre, presenta come corollario un’inevitabile conseguenza: chi non sta dentro una certa misura, o un certo clima, è fuori, è tagliato fuori e deve essere escluso. Gli scrutini potrebbero dunque diventare il tempio del moralismo: questo (metteteci il nome di chi vi pare) “non se lo merita”, “non si merita il nostro aiuto”, “ha 5,78”, “l’ho già aiutato nel primo quadrimestre”, “gli abbasso un po’ di latino così gli alzo greco”.

Lo scrutinio moralista da un lato riduce lo studente a un numero senza storia e, dall’altro, identifica lo studente con una storia meritevole o biasimabile. Per cui il giudizio di un’insegnante, in fondo, è un mix tra i voti che ha e quello che pensa del modo di vivere della persona valutata. In fondo lo scrutinio, come tante altre cose della nostra vita, si riduce a questa segreta domanda: “Quanto il tuo modo di studiare e stare a scuola rientra nello standard che noi abbiamo stabilito?”. Adesso la domanda è per la scuola, ma un domani chiederemo analogamente conto del modo di vivere, di amare, di stare nel dolore, di lavorare, di essere amico: la comunità costruisce delle aspettative che hanno come unico fine l’autoconservazione, il perpetrarsi del già noto. La società costruisce una siepe attorno alla persona in modo tale che essa sia completamente separata da tutto ciò che può arrecare disturbo al sistema.

“Separato” in aramaico si dice “Pĕrīshayyā”, che in greco è reso con il sostantivo “Pharisaios”, fariseo. I farisei erano appunto coloro che non volevano essere turbati dal nuovo, ossessionati a tal punto dal fatto che gli uomini evitassero il peccato da disprezzare ogni forma di pensiero, di domanda, di creatività. A questo punto si potrebbero rinominare tanti consigli di classe alle prese con gli scrutini, ma anche tante comunità locali civili e religiose, con il sostantivo “Sinedrio”: sarebbe immediatamente più chiara la loro natura giudicante e il loro “essere-per-il-potere”, organici a un assetto di potere e a un’inequivocabile costruzione morale.

Si potrebbe obiettare che non avviene dappertutto così, che in alcune situazioni è inevitabile agire in un certo modo o rischiare una valutazione che non sia solo tecnica. Certamente. Infatti, il contrario del moralismo non è l’assenza di giudizio, non è il lassismo, non è il tecnicismo che ci mette a riparo da tutto e non è neppure l’astensione dal particolare. Il contrario del moralismo – e questo lo può capire solo chi queste cose le vive – è la moralità, quella che in gergo cristiano si chiama sequela. Quando un docente entra in uno scrutinio tutta la questione umana, tutta la questione professionale, tutta la questione formativa è una: mettersi a capire che strada ha fatto la persona che si deve valutare. Che cosa ha voluto dirci quel ragazzo o quella bambina al di là delle parolacce, dei comportamenti opinabilissimi, dei voti che ha preso? Anzi, il voto stesso dovrebbe essere lì a tenere memoria di tutte quelle volte in cui è stato chiaro che strada lui personalmente avesse fatto utilizzando le cose che noi – docenti – gli abbiamo insegnato.

E quei voti, allora, diventano come degli indizi che – per com’è costruita la normativa italiana – chiedono un ultimo lavoro che non può fare il singolo insegnante, ma tutta la comunità: “Che cosa ci ha voluto dire Paolino quest’anno? Che strada ha fatto Giulietta in questi mesi? Dove sono arrivati? Come ci sembra ragionevole chiamare il punto in cui sono arrivati?”. Il moralista esce dallo scrutinio esattamente com’è entrato, forse più deluso o arrabbiato, l’uomo morale esce dallo scrutinio cambiato. Perché giudicare davvero, paragonare quello che sappiamo di un ragazzo con quello che ne sanno i nostri colleghi, ci cambia, ci smuove, ci mette in una posizione per cui impariamo qualcosa di nuovo sulla nostra vita. E così vale anche per una comunità: il pettegolo non cambia e non cammina, resta incastrato nel suo tentativo di potere. L’amico, davanti alla provocazione di un altro amico, muore e risorge.

Un ultimo passaggio lo meritano tutti coloro che entrano agli scrutini appartenendo alla grande storia della Chiesa: entrarci in modo morale e non moralista non significa solo giudicare più umanamente, ma riconoscere che oltre a te e ai tuoi colleghi, un Altro – il Mistero di Dio – ha lavorato con quella bambina. E, come dice la Bibbia, davvero non ci capiti mai – credendo di essere nel giusto – di trovarci a lottare contro Dio. Meglio per quell’uomo, dice Gesù, non essere mai nato.

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