Il risultato delle elezioni europee farà molto discutere nei Paesi membri. Si parlerà della necessità di rivendicare la propria sovranità, di rispettare le proprie tradizioni e la propria cultura. Anche i risultati elettorali in India aumenteranno i riferimenti alla “grande nazione indù”. Modi ha vinto, ma, con sorpresa di tutti, l’opposizione ha ottenuto buoni risultati. Un Modi più debole sarà un Modi più nazionalista, più disposto a tollerare la persecuzione dei cristiani e, soprattutto, dei musulmani. Modi ha bisogno di molto nazionalismo per mettere a tacere il crescente malessere nella democrazia più popolosa del mondo, per nascondere il suo fallimento nella gestione del Covid e nell’economia. Dopo la sua condanna, Trump si appoggerà ancora di più al suo Maga (Make America Great Again). Gli ucraini sono riusciti a fermare l’avanzata russa a Kharkiv, Putin ha bisogno di benzina nazionalista per l’offensiva di quest’estate.
Nazione, nazione e ancora nazione. È una delle grandi dee del pantheon dell’era secolare. Per questo forse vale la pena recuperare quanto detto da un algerino, emigrato per qualche tempo in Europa, per poi ritornare in Nord Africa.
Agostino d’Ippona, orgoglioso di molte delle cose che la sua grande nazione, Roma, aveva fatto, era convinto che le avesse realizzate grazie alla sua virtù. La prisca virtus romana rese possibile la grandezza prima della Repubblica e poi dell’Impero. Ha permesso loro di estendere i propri domini fino ai limiti del mondo conosciuto, di sottomettere i popoli. Era una virtù fondata sulla fiducia che “l’amore per la patria e il desiderio di gloria smisurato avrebbero prevalso” (Virgilio).
La virtù nazionale romana è stata capace di superare tutti i vizi e di esaltarne uno solo: l’assolutizzazione della nazione. I romani erano disposti a sacrificare tutto per essa. E Dio li ha premiati. Ma nel premio c’era il castigo. I valori nazionali li hanno privati dei valori eterni. Una volta cristianizzato l’Impero, la tentazione non fu vinta. Agostino non chiamava Costantino e Teodosio imperatori felici per i loro successi politici (presa del potere), ma perché governavano con giustizia.
Cosa si può chiedere di più all’imperatore, al sovrano, se non il sostegno alle opere dei cristiani? La donazione che Costantino fece di Roma e dell’intero Impero alla Chiesa – che in realtà non era altro che un racconto privo di fondamento storico – non fece dell’imperatore un imperatore migliore.
Il potere politico, il potere nazionale, dice l’africano, è una maschera e ciò che interessa è ciò che c’è dietro: ciò che esiste è la persona. Ecco perché Roma è diventata davvero grande – purtroppo troppo tardi – quando ha riconosciuto che esisteva una comunità di esseri umani che era oltre i vecchi confini nazionali.
Non possiamo sbagliarci, insiste l’africano, tutti gli Stati di questa terra sono Stati terreni. Anche – se mai esistessero – le nazioni cristiane, governate da cristiani, abitate da cristiani, sono terrene. Non meritano gloria oltre misura.
Il nazionalismo, il sovranismo sono una risposta troppo frettolosa alla grande domanda posta dall’età secolare. La secolarizzazione ci costringe a chiederci cosa abbia senso. E il nazionalismo, l’idolatria della nazione, offre una risposta che ha la forma di un “vizio”: sminuisce la ragione, distrugge il mistero degli altri, il suo contenuto è solo il potere. In realtà, l’unità tra gli uomini non può costruirsi che a partire dalla domanda sul senso, dalla fatica e dal piacere generati dalla ricerca e dall’incontro con il significato dell’esistenza.
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