Un giorno reclamerà la raccolta perché prima si è dato da fare a seminare. Ha seminato dappertutto, che nessuno dica: “Solo perché ero asfalto, son stato trattato diversamente dalla terra”. Cristo non è un ciarlatano come Lucifero: non è uno di quelli che non seminano mai e vorrebbero raccogliere. Lui è come “un uomo che getta un seme nel terreno; dormi o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia, cresce”.

È lui, il padrone, a iniziare l’avventura del seme: ad aprire la busta, uscire di casa, gettare il seme nella terra. Poi, nella tomba del sotto–terra, nessuno ha mai capito come faccia ad accadere ciò che si vedrà: il seme è diventato stelo, poi spiga, chicco e, finalmente, è si è fatto maggiorenne: si è mutato in frutto. Addirittura magnanimo: “E quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.

Siccome tutti, tra gli uditori che stavano a soffocarlo, avevano un’immagine di ciò che Cristo, parlando come un agricoltore, andava dicendo, Lui colse la palla al balzo per tentare di allargare la loro immaginazione: “Così è il Regno di Dio”. Come dire: “Se pensavate che la mia casa, il mio Regno, fosse qualcosa che ha a che fare con la genericità, vi sbagliavate di grosso. Assomiglia esattamente al seme”. Cioè: un piccolissimo inizio, quasi invisibile alla città, un tempo lungo di nascondimento, l’apparente morte – “Diamo per disperso il seme!” dicono guardando che, sopra la terra, non si muove foglia – poi il miracolo: “I semi sono invisibili. Dormono tutti nel segreto della terra finché uno di loro non piglia il ghiribizzo di svegliarsi – scrive il mio amico francese Antoine de Saint-Exupéry – Il seme si stiracchia e fa spuntare timidamente verso il sole uno splendido, innocuo, germoglio”. È la natura.

Anche il Regno di Dio, a forza di aspettarlo e di non vederlo arrivare, più di qualcuno l’ha dato per disperso: disperso il Regno, disperso il Cristo con le sue promesse. In tantissimi, nella storia, han ragionato e ragionano così. Fatto sta che “Pensavano di averci seppellito tutti: non sapevano che noi eravamo dei semi” racconta un proverbio messicano. E se all’uomo non importasse granché, alla storia non facesse caldo o freddo, si vivesse anche senza questo Regno? Nessunissimo problema per Cristo: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”. Come dire: una volta avviata la pratica della seminagione, nessuno riuscirà ad arginarne la forza. Del Regno di Dio, alla fine, non importa se uno s’accorgerà o no, se farà finta di non vedere o non vedrà proprio: questo è affare dell’uomo e della sua distrazione. Per quanto riguarda il Regno, è come il seme: lui continuerà ad allenarsi a diventare grande. Anche quando, mentre è sottoterra, udrà da sopra voci di sconforto: “Il seme, quest’anno, è andato a farsi friggere!”. Lui, orecchie da seme, tace: anche se non ha mai visto un frutto, ha fiducia di che diventerà se si affiderà alla vita. Se il mondo si (af)fiderà di Dio.

L’avvertenza del Dio contadino è obbligata: “Non fatevi fregare, gente dalle misure. Piccolo non significa un futuro magro”. Anzi, l’esatto contrario: “Come un granello di senape che, quando viene seminato, il più piccolo di tutti i semi; ma quando cresce diventa più grande di tutte le piante” (cfr Mc 4,26-34). È pauroso lo sguardo del Cristo: nella piccolezza di un granello di senape, riesce a vedere la cubatura di un condominio dove gli uccelli potranno allestire i loro monolocali.

D’altronde è legge di natura prima che di Vangelo, è il Vangelo che prende lo spunto dalla natura: per quanto grande sia un baobab, come genitore ha sempre un piccolo seme. Gesù Cristo, col granello di senape in mano, imbastisce una lezione di prospettive ottiche: “Più che una goccia nell’oceano come dite – pare ci rinfacci – qui c’è l’oceano nascosto nella goccia”. Discorsi elementari, terra terra. Tipo: “Non giocate col tempo: in ogni istante è incluso, in seme, l’eterno”. Lui insiste: “Mi ricevi come il vento la vela. Ti ricevo come il solco il seme” (P. Neruda).

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