“Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Mc 4, 26-27). Molte volte ho cercato di immaginarmi il volto di quest’uomo che getta il seme sul terreno, e la sua vita. Me lo immagino lieto e libero. Non è di quelli che si agitano al veder crescere le erbacce e credo non si tratti neppure di uno che spunta i giorni sul calendario, in attesa che passino alla svelta, per vedere finalmente il frutto del suo seminare. È piuttosto uno che si gode le albe e i tramonti, la brezza e il temporale, il caldo e il freddo, i riflessi del sole sulle rocce e il verde delle foglie.

Assomiglia molto a uno dei personaggi dello straordinario film La valle di pietra (1992). Ambientato nella Boemia del 1850, narra la vicenda di un agrimensore che viene inviato dal governo in una valle remota fatta di montagne di fragile e grigia pietra calcarea. Lì avviene un incontro. Un giorno l’agrimensore viene invitato dal prete decano a un pranzo in occasione di una festa. Ci sono molte persone e vari sacerdoti. Ma la sua attenzione cade su un vecchio parroco che appare come un pesce fuor d’acqua. Silenzioso e schivo, è più intento a gustare i particolari che a seguire i discorsi degli altri commensali. C’è un gesto, in particolare, che colpisce l’agrimensore. Il vecchio prete spesso, con un gesto scaltro delle mani, nasconde i preziosi polsini di lino che sporgono dalla sua vecchia e trasandata tonaca. In quel gesto c’è tutta la sua storia, e il film la racconta in modo geniale. I due diverranno amici, anche perché quel sacerdote vive proprio dove l’agrimensore sta lavorando per stendere le sue mappe. Seduto sul letto di un fiume, intento a contemplare i giochi di luce del sole sulle pietre, il prete viene riconosciuto dall’agrimensore, e così inizia un’amicizia che durerà fino alla fine.

Questo sacerdote l’ho sempre associato al volto dell’uomo che getta il seme sul terreno. Attende e vive senza fretta perché sa di cosa è capace Dio, avendolo sperimentato sulla propria pelle. Tutta la sua vita ha trovato casa in un luogo abbandonato da tutti, ma dove tutto gli parla. Che differenza rispetto a chi pretende di cambiare le cose con le sue idee e iniziative. Papa Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret, per spiegare il termine “vangelo” scrive così: “Di recente la parola ‘vangelo’ è stata tradotta con l’espressione ‘buona novella’. Suona bene, ma resta molto al di sotto dell’ordine di grandezza inteso dalla parola ‘vangelo’. Questa parola appartiene al linguaggio degli imperatori romani che si consideravano signori del mondo, suoi salvatori e redentori. I proclami provenienti dall’imperatore si chiamavano ‘vangeli’, indipendentemente se il loro contenuto fosse particolarmente lieto o piacevole. Ciò che viene dall’imperatore – era l’idea soggiacente – è messaggio salvifico, non è semplicemente notizia, ma trasformazione del mondo verso il bene. Se gli evangelisti riprendono questa parola, tanto che a partire da quel momento diventa il termine per definire il genere dei loro scritti, è perché vogliono dire: quello che gli imperatori, che si fanno passare per dèi, pretendono a torto, qui accade veramente: un messaggio autorevole, che non è solo parola, ma realtà. Nell’odierno linguaggio proprio della teoria del linguaggio si direbbe: il Vangelo è discorso non solo informativo, ma operativo, non è solo comunicazione, ma azione, forza efficace, che entra nel mondo salvandolo e trasformandolo. Marco parla del ‘Vangelo di Dio’: non sono gli imperatori che possono salvare il mondo, bensì Dio. E qui si manifesta la parola di Dio che è parola efficace; qui accade davvero ciò che gli imperatori solo pretendono, senza poterlo adempiere. Perché qui entra in azione il vero Signore del mondo: il Dio vivente” (Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, pp. 69-70).

C’è sempre un “imperatore” anche in noi che pretende di cambiare la realtà con ciò che pensa o produce. Il Vangelo di questo domenica, invece, ci provoca con la figura dell’uomo che getta il seme. Come a dirci: non sono le vostre iniziative, i vostri testi che brandite come manifesti di chissà quale cambiamento, le vostre idee che usate contro gli altri, a cambiare le cose. L’unico cambiamento reale si legge sul volto di chi si stupisce per quello che nasce a sua insaputa. Occorre solo l’umiltà di riconoscerlo e seguirlo.

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