“Fratelli, c’è gente che ogni giorno brontola contro Dio: ‘Che tempi brutti!, che tempi difficili!’. Sono le insulsaggini che si buttan là e di cui abbiamo già parlato. ‘Tempacci, tempi duri, tempi insopportabili’; eppure si organizzano gare circensi! I tempi sono cattivi, sono difficili. Ci si ravveda. Chiami duri i tempi: quanto più duro sei tu, che dalla durezza dei tempi non trai motivo per ravvederti! In effetti vediamo anche ai nostri giorni prosperare le insensatezze di numerosi spettacoli, vediamo la voglia matta per tante cose superflue. La bramosia non si decide a finire nemmeno dopo che le è stata tagliata la testa!” (s. Agostino).

Già 1700 anni fa si sentiva l’urgenza di richiamare all’inutilità del lamento e al bisogno della conversione personale. Oggi non siamo tanto distanti se l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, in occasione della processione eucaristica del Corpus Domini, ha detto così: “Vivi, Milano! Accogli la vita! città dei vecchi e delle solitudini. Vivi e dona vita! vivi e ama i bambini! Vivi e ringrazia della vita! Vivi! Basta con il lamento che ricopre di grigiore la vita e le sue bellezze! Basta con l’ossessione di sembrare viva, invece che di vivere! Basta con l’insofferenza che non sopporta i fastidi del vivere; basta con la paura che trattiene la vita e la nasconde in un privato solitario e grigio! Vivi. Milano! Canta, inventa poesie, suona la tua musica, applaudi alla tua lirica. Vivi, Milano! Non censurare il tuo sorriso, senza chiasso, contratto e pudico. Sorridi, anche se sorridere sembra una perdita di tempo, con tutto quello che c’è da fare. Vivi, sorridi, Milano!”.

Cosa permette di alzare la testa e iniziare a vivere sul serio? Che Qualcuno ci chiami. Se non avvenisse la grazia di un incontro unico e inconfondibile tutto rimarrebbe un puro richiamo. La vita degli apostoli è stata travolta dalla chiamata di Cristo e, con Lui, ogni dettaglio ha riconquistato una consistenza nuova. In tanti cova, invece, il sospetto di essere soli contro tutti, di doversi difendere dall’altro perché potrebbe essere un pericolo, di farsi da sé.

Nella festa del Corpus Domini la Chiesa annuncia a tutti, fin portandola per le strade, la definitiva compagnia di Cristo alla vita di ogni uomo, che si è consegnato totalmente nel gesto del corpo dato e del sangue versato. Quello eucaristico è un metodo che i cristiani non possono cambiare, contiene un comando: “Fate questo in memoria di me”, non altro. È un metodo scandaloso, che turbò persino i discepoli, tanto da abbandonare in massa Gesù quando disse: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6, 53).

Che non abbiamo in noi la vita lo possiamo verificare in molte occasioni, come mi ha scritto un ragazzo a scuola: “Sono riuscito a perdere nuovamente me stesso e le mie passioni, ho perso molte cose e persone. Una domanda che mi è sorta è: sono così facilmente sostituibile, la mia persona vale così poco? Ero ostinato, testardo, ora sono solo un menefreghista, una specie di bandiera che cambia verso solo per il vento”. Il cuore di un ragazzo così, però, non può che essere mosso dalla taciuta certezza della possibilità di una risposta negativa a questi suoi interrogativi. Occorre un volto che gli mostri questa possibilità.

Perché vita sia davvero chiediamo il dono di portare ciò che ci ha preso, senza cambiare metodo: il dono totale di noi stessi. Infinite domande ci attendono, innumerevoli volti ci guardano.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI