Un taglio, un inaspettato calo di peso, un’ostinata resistenza ad uscire fuori di casa, il rifiuto di proposte lavorative, la paura di non essere all’altezza, il timore del giudizio degli altri… Si potrebbe continuare a lungo la lista di improvvisi bisogni simili a questi, che, solo nell’ultimo periodo, hanno colpito persone a noi care, di qualsiasi età in diverse condizioni sociali, se non anche chi sta leggendo. Non si tratta solo di disagi psichici, ma del tratto forse più distintivo della cultura in cui viviamo.
Cesare Cornaggia, noto psichiatra milanese, ha richiamato nel suo libro Dalla parte del desiderio la distinzione tra bisogni e desideri. Molto spesso infatti trattiamo questi disagi diffusi come bisogni da soddisfare nell’immediato, con ricette, parole, silenzi, consigli, dottrine. Sia chi si affanna con apprensione e si impaurisce; sia chi li sottovaluta con un po’ di stizza, credendo che basterebbe pensarci un po’ di meno e impegnarsi un po’ di più a far del bene, considera questi disagi come difetti di fabbrica dell’umano.
Questo non fa che aggravare il problema, perché chi vive il dramma di queste domande si sente ancora più in colpa, come se arrecasse un peso agli altri. Lo dice al padre un adolescente in difficoltà nel romanzo di Matteo Bussola, Un buon posto in cui fermarsi: se il padre ha fatto di tutto per non commettere gli errori di suo padre, perché lui è ancora infelice?
Basta invece dare un minimo di credito a questi bisogni, farsi raccontare da dove sorgono e verso dove spingono, per cogliere in essi – come recentemente diceva Julián Carrón – una “spia dell’ontologia” umana, che non porta in sé alcun difetto di fabbrica. Pur nella sua condizione storicamente ferita, l’uomo resta sempre fatto bene. Infatti, basta mettersi un attimo in ascolto con una domanda come quella di Gesù ai suoi discepoli (“Che cosa cercate?”), per cogliere, dentro la storia di ogni bisogno, la vita di un desiderio non realizzato, il segno inconfondibile di quelle esigenze di verità, di giustizia, di bontà che originalmente ogni uomo scopre in sé nell’impatto con la realtà. È quell’esperienza elementare di cui parlava Luigi Giussani ne Il senso religioso.
Oggi, però, si prova molto imbarazzo a parlare dei propri desideri falliti. Si pensa che un desiderio fallito coincida con il totale fallimento di sé. Eppure, si potrebbe dire che ogni desiderio nasce da una mancanza e, in fondo, non c’è mancanza senza l’esperienza di non riuscire a procurarsi ciò che si desiderava con le proprie mani, cioè senza fallimento. Ci si dimentica che l’uomo – come scrive Binswanger – è nato piangendo. La mancanza espressa dal pianto è stata dall’inizio il motore di un rapporto, quello con la madre, che, come tutti sappiamo, non ci ha tolto la possibilità di piangere ancora, ogni volta che avevamo fame, ma ci ha fatto intuire che quella mancanza non era segno di una vita finita, ma di un bisogno di vita, di un’altra vita oltre quella che già ci è stata donata. Dietro ogni bisogno, fallimento, mancanza e desiderio è possibile riconoscere l’occasione di un rapporto con qualcuno o qualcosa che ancora non sappiamo, non possediamo, ma che ogni volta ci sorprende con la grazia del suo esserci.
C’è un piccolo problema: questo desiderio è infinito. Non si accontenta mai, desidera l’infinità – come scrive Pavese – in ogni piacere. Chi potrà stare di fronte a questa infinità di mancanza, senza spaventarsi o arrabbiarsi, o ricorrere a fallimentari strategie di tamponamento? Solo chi ha la coscienza di lanciare l’altro (compagna, amico, figlio) oltre il limite di sé, come a dire: “la tua felicità ci sarà, anche senza di me” – come fa il padre ne La strada di McCarthy. Questa è la paternità di cui è reso capace colui che ha lo spirito di chi si fa a sua volta continuamente figlio.
Non c’è epoca più entusiasmante di questa, così contraddistinta dalla fragilità dell’io, per riconoscere la differenza di questo tipo di padri. Questi, come Abramo, generano un popolo di figli, perché suscitano infinitamente la promessa di una vita oltre sé, solo per il modo cui ci portano a contemplare il cielo stellato mentre parlano con Dio.
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