Il 23 giugno del 1973 era stato un giorno importante per il rapporto tra la Chiesa e la modernità: quel giorno di 51 anni fa veniva infatti inaugurata la Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea all’interno dei Musei Vaticani. Era un passo fortemente voluto da Papa Paolo VI che il 7 maggio 1964 aveva rivolto uno storico discorso agli artisti, per riallacciare un rapporto sostanzialmente interrotto da oltre un secolo. Un blackout doloroso e drammatico, se si pensa alla straordinaria ricchezza che quel rapporto aveva generato nel passato. In quel discorso Montini aveva fatto un mea culpa di grande sincerità (“Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci! E poi vi abbiamo abbandonato anche noi”). E aveva detto che la riaccensione del rapporto non era più procrastinabile: la Chiesa non poteva ulteriormente rinunciare al “canto libero e potente di cui gli artisti sono capaci”.

L’apertura di credito era stata reale. La sezione che “non c’era” nel grande complesso dei Musei Vaticani sarebbe stata ospitata in una zona simbolicamente importante: gli appartamenti apostolici, dall’appartamento Borgia affrescato dal Pinturicchio alle salette quattrocentesche, l’una in fil all’altra, che conducono alla Cappella Sistina. “Una sede scelta con lo specifico obiettivo di incunearsi nel tessuto storico dei Musei e tracciare con chiarezza le coordinate di un dialogo aperto e coraggioso con il passato”, sottolinea Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, introducendo l’importante volume uscito ora ma immaginato per i 50 anni della Collezione e per questo intitolato Contemporanea 50. Un volume non celebrativo ma soprattutto puntigliosamente documentale che certifica quanto quell’apertura di credito ha generato in questo arco di tempo.

Le mille opere della collezione iniziale sono diventate 9mila. E oggi, con un progetto curato dalla direttrice della Collezione Micol Forti (curatrice del volume), hanno invaso anche i normali percorsi di visita dei Musei con presenze diffuse che dialogano con opere del passato e attivano visione diverse e “contemporanee” di quelle stesse opere classiche.

Come ha acutamente notato il critico Giuseppe Appella recensendo Contemporanea 50 sulle colonne del Manifesto, “il dialogo con gli artisti, dal 1964, non è mai cessato, anzi si è fatto impegno morale, lungimiranza che sa di passione vera per una materia viva”. È evidente che il rapporto tra la Chiesa e l’arte del nostro tempo si configura in modo molto differente rispetto al passato, quando era quasi sempre in una posizione di committenza. Quello a cui stiamo assistendo in tante situazioni inedite è un mettersi in ascolto di questa “materia viva”. È un intercettarne l’anelito, come abbiamo visto accadere nel coraggioso Padiglione che il Vaticano ha proposto in questa Biennale veneziana, chiamando gli artisti a mettersi in rapporto con gli spazi del carcere femminile alla Giudecca. Sintetizza Barbara Jatta: l’arte “come chiave per ‘stare dentro’ al nostro tempo, come lente per leggerlo, come logos per interpretarlo, nel solco ancora vivo di Paolo VI”.

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