Non si vive di nostalgia

L'estate è spesso tempo di nostalgia, di sagre, di repliche. Una tentazione forte anche per la Chiesa. Ma il metodo di Dio è un altro

In tv d’estate le cose che hanno maggiore successo sono le repliche. Non repliche di programmi di stagioni recenti, ma programmi che si incaricano di trasmettere spezzoni, momenti o intere trasmissioni di venti, trenta o quarant’anni fa. La nostalgia ha un potere incredibile sull’uomo e la società dei consumi lo ha capito bene: niente come il video che racconta come eravamo o che mette insieme immagini di alcuni decenni fa raccoglie – nelle piccole famiglie come nei grandi circuiti di distribuzione – attenzione, emozione, applauso.

L’estate è un tempo di nostalgie, un tempo in cui si tornano a fare cose che si sono sempre fatte ed è proprio questo continuare a farle che restituisce a chi le fa tutta l’ampiezza del tempo che è passato. Non è infrequente che si celebri una qualche festività o ricorrenza e sia più chiaro che quest’anno c’è una sedia in meno o una fatica in più. Nei piccoli paesi dell’Italia rurale resistono ancora feste, sagre e processioni religiose. Ma non si trovano più persone che possano portare in spalla l’arca del santo o – se si trovano – si ricorre alla collaborazione di persone estranee alla comunità, appartenenti a nuclei che un tempo sarebbero addirittura stati ritenuti ostili. Non sono poche le occasioni in cui il momento conviviale – con i celebri stand gastronomici – è stato nettamente separato dal momento religioso, trattenendo una tradizione ma sradicandola dal suo fondamento. Ci sono piccole comunità in cui un tempo si faceva la “Sagra della Madonna…” (e qui ciascuno ci metteva il suo epiteto). Oggi gli stessi manifesti, vent’anni dopo, chiamano il medesimo evento semplicemente “Sagra” senza alcun riferimento all’origine del gesto. Si continua a far festa, ma non si capisce più che cosa ci sia da festeggiare e allora, presi da qualche istante di consapevolezza, si ricorda il tempo che non c’è più.

È difficile cambiare, voltare pagina. Lo è per il cattolicesimo italiano, che non ne vuole sapere di trovare forme innovative di esserci e di essere minoranza. Il numero dei preti, degli oratori, delle persone che vanno a Messa è in un declino spaventoso. E l’aggettivo non è arbitrario: lo stesso gettito dell’otto per mille, su cui si fonda buona parte dell’azione pastorale e caritativa della Chiesa italiana, precipita di anno in anno, lasciando del tempo che fu soltanto il ricordo.

Certo, le sorprese di Dio sono inevitabili e non è affatto detto che domani pomeriggio non ci troveremo dinnanzi ad un nuovo Rinascimento. Il punto è che una posizione del genere è fideista, senza ragione, perché evita di guardare in faccia la realtà cruda che abbiamo davanti. Qualcuno potrebbe addirittura dire che non è così, che la propria parrocchia è piena di gente, che la propria scuola, associazione o movimento prosegue tutto senza intoppi. Potrebbe continuare, insomma, a suonare la propria musica, incurante del Titanic che affonda. Prendere atto di quello che succede, dargli un nome, ammettere che il mondo è cambiato e che certe cose non torneranno mai più e molte altre stanno per finire, è la premessa per cogliere in questa nuova povertà una chiamata più grande, la chiamata di un Altro che chiede passi nuovi. È Lui colui che non verrà mai meno, è Lui che non mancherà mai di farci sentire la Sua misericordiosa presenza, la Sua dirompente amicizia.

Se la Chiesa impiegasse tutto lo sforzo che adesso imprime a preservare ciò che sta morendo in uno slancio di cura e di vita per ciò che sta nascendo, sarebbe la rivoluzione. Ma è difficile morire, è difficile lasciare. Le facce sono sempre le stesse, i riferimenti sono sempre gli stessi, le parole sono sempre le stesse: il passato ci dà sicurezza, come se fosse l’impalcatura a tenerci in piedi e non Uno che è vivo.

Nuove docce fredde attendono a breve la cristianità, nuove sfide, nuove difficoltà. Chiudersi in un fortino aspettando che passi la tempesta non basterà, illudersi che il male – o la secolarizzazione – possano restare fuori dalle porte che noi costruiamo non servirà a nulla. Ci ritroveremo con i problemi in casa. È accaduto con la pedofilia, sta accadendo con il tema della sessualità, accadrà presto con quello dei beni ecclesiastici. Qualcuno, in fondo, potrà sempre mettere una videocassetta in qualche vecchio registratore per godersi quello che è stato. Sperando che basti a passare la notte. Incurante del sentimento più cristiano di tutti i tempi: quella curiosità per il Mistero che debella ogni nostalgia e ci rimette – colmi di gratitudine – al centro della storia.

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