Domani la Transizione Ue comincerà a riverniciarsi di colori. Benché all’ordine del giorno dell’Europarlamento appena insediato vi sia un appuntamento squisitamente politico come il voto di fiducia al Presidente designato della Commissione, Ursula von der Leyen, si annuncia subito alla ribalta il verde, il più classico dei colori politico-culturali contemporanei.

I Verdi hanno registrato un netto arretramento al voto di inizio giugno e sono stati esclusi da von der Leyen nelle consultazioni principali per la definizione di una nuova maggioranza di base per il sostegno alla nuova Commissione. Il partito ambientalista – di fatto in coalizione dal 2014 con popolari, socialdemocratici e liberali – ha però fatto risuonare la sua voce soprattutto in termini in altolà ai partiti “europeisti” ad aprire la maggioranza alle diverse formazioni della destra. In ciò i Verdi hanno confuso spesso e volentieri un confronto strettamente politico su chi e come potrà affermare di “governare l’Europa” con lo sviluppo sostanziale della transizione eco-energetica nell’Ue: già sfida chiave della strategia NextGeneration cinque anni fa (prima del Covid e della crisi geopolitica) e a maggior ragione prioritaria oggi.

Il passaggio da una fase emergenziale della crisi energetica seguita alla crisi russo-ucraina a una ricostruzione della stabilità e sicurezza Ue negli approvvigionamenti ha già investito – inevitabilmente – l’approccio spinto inizialmente adottato da Strasburgo e Bruxelles. E la verifica elettorale ha già sancito un momento riflessivo su piani già messi in cantiere con scadenze drastiche e strette (a cominciare da case e automobili). L’estremismo dei Verdi (oggi al potere in un Paese-chiave come la Germania) è stato indubitabilmente punito, per quanto dietro ideologie e rappresentanze politiche ecologiste si muova anche il lobbismo degli ingenti investimenti finanziari e industriali mobilitati in direzione di una transizione verde accelerata.

Nella campagna elettorale per la riconferma, von der Leyen non ha fatto mistero di voler far proprie, nella nuova legislatura, le istanze di revisione strategica delle politiche eco-energetiche. E il suo compito si profila di grande impegno: non dovrà “spegnere” una transizione in parte obbligata dall’esigenza di contrastare il cambiamento climatico; ma dovrà interpretare tempi e modi dettati da diversi equilibri a Strasburgo e nella composizione della Commissione. Dovrà inoltre riarmonizzare le due transizioni originarie (eco-energetica e digitale, cardini del Recovery Plan) con le nuove “guidelines” richiamate dalla crisi geopolitica: una specifica “transizione militare” all’interno di un’ampia “transizione re-industriale”.

Non c’è più solo il colore verde nella Grande Transizione Ue. E non è certo quello di un brand partitico.

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