Il cantiere di Dio

Anche la malattia può essere affrontata con serenità se si scopre la presenza di Cristo. Consapevoli che nella vita ognuno ha un suo compito da svolgere

In strada ci sono i lavori in corso. Transenne, polvere, confusione. Suono il citofono e mi dirigo verso casa di amici. Entro e, dopo i saluti, subito in lontananza riconosco una voce famigliare dall’inconfondibile accento bergamasco. Arriva dalla stanza della figlia più grande, costretta da una tetraparesi a muoversi con una carrozzina, collegata tramite “Zoom” con centinaia di altri amici malati: sono i “quadratini”. Si tratta di un appuntamento quotidiano con don Eugenio Nembrini e, quella sera, anche con il vescovo di Rimini mons. Nicolò Anselmi. Mi fermo con lei per seguire l’incontro.

Chi interviene racconta la propria scoperta dell’ultimo periodo, e si sentono cose mai udite. Gente che ringrazia per la malattia come occasione per riscoprire la presenza di Cristo. Altri che scherzano, come se niente fosse, anche se evidentemente provati dalla sofferenza. Il vescovo, stupito, non si perde una parola. L’amica con cui ero si agita di gioia appena sente qualcosa che la colpisce. Poi andiamo in giardino per la cena con tutti gli altri. Per tornare a casa passo ancora per la strada dissestata e penso che, anche in mezzo ai lavori in corso, c’è sempre un fiotto di vita che non molla.

Spesso, durante i lavori, tanti potrebbero essere preoccupati per il ritardo della fine, altri lamentarsi per il disagio, qualcuno addirittura approfittare per improvvisarsi capo cantiere e radere al suolo tutto per ricostruire secondo un altro progetto… ma il grande Artigiano, implacabilmente, fa fiorire la sua opera. Viene in mente quel vecchio canto che dice: “Se il Signore non costruisce la città, invano noi mettiamo pietra su pietra. Se la nostra strada non fosse la sua strada, invano camminiamo, camminiamo insieme”.

Da cosa capiamo che a costruire è Lui? C’è un segnale inconfondibile: è l’Unico in grado di dare un compito a tutti, senza lasciare a casa nessuno. Nel “cantiere” di Dio, infatti, tira un’aria diversa rispetto a quella del mondo. Ciascuno trova il suo posto, tutti sono necessari, nessuno viene rimpiazzato. Si costruisce, si demolisce, ci si agita, si riposa, ci si scontra, si fa pace… ma, certi del fatto che il vero Autore è Lui, a nessuno viene in mente di mollare l’impresa.

La liturgia di oggi lo dice usando l’immagine del pastore e, nella prima lettura, leggiamo queste parole: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una” (Ger 23, 3-4).

Sembra un sogno irrealizzabile, una fantasia per bambini dal cuore puro, eppure ha tutte le caratteristiche di una promessa infallibile. “Non ne mancherà neppure una”: questa è la preoccupazione di Dio. Che io e te ci siamo, così come siamo, nel cantiere spesso disagiato della vita, a compiere l’opera per cui siamo nati: il compimento di noi. Quasi una preghiera a non mancare, che Dio ci rivolge, magari con le stesse parole che scrisse anni fa un grande padre della Chiesa: “Uomo, comprendi la tua grandezza, confessando la tua dipendenza! Rifletti allo splendore che porti con te. Non disconoscere la luce che ti è stata data, ma non attribuirtene la sorgente! Impara a scoprire la tua realtà di specchio e di immagine! Impara a conoscerti riconoscendo il tuo Dio! Comincia, per quanto è possibile a un mortale, a contemplare il suo Volto raccogliendoti in te stesso! Impara” (H. de Lubac, Sulle vie di Dio, Jaca Book, 2021, p. 15).

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