L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato l’elenco dei beneficiari del 5 per mille, anno 2023. Si tratta di circa 520 milioni di euro distribuiti, anzi redistribuiti, a oltre 80 mila soggetti. Il 5 per mille nacque nel 2006. Fu una novità importantissima, anche se non del tutto originale, perché in alcuni Stati europei c’erano già forme simili di sussidiarietà fiscale (anche nella oggi vituperata Ungheria). Negli anni successivi il Governo mise dei tetti al 5 per mille, che tra il 2009 e il 2013 portarono a un taglio considerevole delle somme a disposizione dei beneficiari, superiore anche ai cento milioni all’anno. Nelle polemiche che seguirono fu coinvolto, forse in modo ingiusto, anche il ministro Tremonti, che pure era stato meritoriamente all’origine della legge.
Nel primo anno fu utilizzato da 13 milioni e mezzo di persone. Oggi le scelte sono oltre i 16 milioni, in aumento, ma ancora poche. Meno del 40% dei contribuenti esprime la propria preferenza al momento della dichiarazione dei redditi. Ed è un peccato, perché il 5 per mille è un sostegno concreto per le associazioni, soprattutto per quelle che vivono solo delle donazioni dei propri membri e riescono ugualmente a fornire alla collettività servizi di grande rilevanza sociale e culturale. Ma non c’è solo l’aspetto economico. Ciò che rende il 5 per mille così importante è il principio che incarna, cioè l’idea che il cittadino possa ritornare almeno in parte padrone delle proprie tasse, decidendo una quota del loro utilizzo.
Oggi è possibile destinare lo 0,5% del proprio Irpef a Enti del Terzo Settore e Onlus, della Ricerca sanitaria e scientifica, Associazioni sportive dilettantistiche, Enti per la tutela dei beni culturali e paesaggistici, Enti gestori delle aree protette e quasi 8 mila Comuni. La maggior parte delle scelte dei cittadini (75%) è andata agli Enti del Terzo settore. Solo un contribuente su cento ha scelto di premiare il proprio Comune di residenza. Roma è stata scelta da appena novemila suoi cittadini, Milano da poco più di settemila.
Nella parte bassa degli elenchi si trova un pulviscolo di piccole e piccolissime realtà, talvolta scelte da sparute persone. Ad esempio, una realtà piemontese, di cui non faremo il nome, è stata indicata da due persone e teoricamente riceverebbe 24 euro (in realtà c’è una soglia minima sotto la quale non scatta l’accredito). E non è neppure l’ultima, perché sotto ci sono centinaia di sigle in condizioni peggiori. Ma guai a disprezzare o peggio a discriminare. È giusto che tutte le realtà abbiano pari dignità, se sono, come pare nella maggior parte dei casi, frutto dell’opera di gente che si impegna per un ideale. Più criticità, forse, si trova nella parte alta degli elenchi. Qui dominano le grandi organizzazioni nazionali e internazionali, che possono contare sull’appoggio dei media, gratuito o pagato con le stesse donazioni ricevute. Ecco allora Emergency, Save the Children, Medici Senza Frontiere. Ecco soprattutto le sigle legate alla ricerca sul cancro. In cima all’elenco c’è l’Airc, che riceverà un contributo delle tasse dei cittadini di oltre 69 milioni di euro, staccando nettamente gli altri. Ma tra le prime venti realtà ce ne sono ben otto che si occupano di tumori. Come se in testa ai pensieri di molti italiani ci fosse ancora lui, il “male oscuro” e la speranza di continuare a sconfiggerlo.
Anche noi tifiamo per la ricerca scientifica. E, insieme, per tutte quelle opere che la pietà umana o cristiana ha saputo generare di fronte alla malattia. Si veda, nel grande, l’ottimo libro di Emmanuel Exitu sulla figura di Cicely Saunders e le cure palliative. E, nel piccolo, l’opera quotidiana di tante associazioni di base, molto più giù negli elenchi di cui si diceva prima.
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