Erano dei fornai inconsapevoli gli amici di Cristo: avevano il negozio pieno di lievito per fare il pane – con l’aggiunta di una bellissima percentuale di pesce – ma nemmeno ne erano al corrente. Prestando ascolto ai racconti, era tutta gente capace di andare sulla luna. Di arrampicarsi fin sulla croce per non tradire il loro Maestro. Andare sulla luna, comunque, non è poi così lontano: il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi. E loro, a scavare dentro loro stessi, forse non ci avevano mai provato davvero. Per questo l’amico Gesù, quando si trovò di fronte una folla affamata, con il cielo che stava colorandosi dei colori del tramonto, riflettè tra sé: “Ecco l’occasione che aspettavo. Adesso dimostro loro di cosa sono capaci, quando loro nemmeno immaginano di esserlo”. Avevano, forse, la consapevolezza di chi erano, o di chi pensavano di essere. Mancava a loro, però, la coscienza di chi sarebbero potuti divenire qualora si fossero messi in cooperativa con Cristo. Non una quisquilia di poco conto per il Dio che voleva amici pienamente realizzati, non degli zerbini da posizionare davanti alla porta di casa sua: “Non essere consapevoli vuol dire non esistere” (M. McLuhan). A Cristo, invece, giunto alla fine della giornata più che le risposte date interesserà sempre fare il conto delle domande accese: “Le domande che ci poniamo – mi sembra quasi di sentirlo ripetere agli amici, appartandosi leggermente dalla folla che lo pressa ovunque – determinano il tipo di persone che diventeremo”.



Una domanda, dunque: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” Domanda tautologica, direbbe la maestra: una di quelle domande che contengono già la risposta. Lo ammette pure l’evangelista che ci narra l’evento: “Diceva così per metterlo alla prova; egli, infatti, sapeva quello che stava per compiere“. Forse aveva intravisto negli amici suoi una sazietà di risposte: per questo volle ribaltarli con una domanda. Perchè quando pensi di avere tutte le risposte la vita ti cambia le domande: “Che cos’è questo per tanta gente?” rispose Filippo, uno dei fornai inconsapevoli. Come dargli torto: cinque pani e due pesci, cosa sono in confronto a cinquemila bocche da sfamare? Una apparente assurdità, anche solo a pensarla: figurarsi a proporgliela.



Eppure, ne era convinto anche il poeta Giovanni Pascoli che “il poco è molto a chi non ha che il poco”. E quando uno condivide, vincono tutti: “Un dolore condiviso è un dolore dimezzato – recita un proverbio -. Una gioia condivisa è una gioia che si raddoppia”. Peccato – che peccato! – che i discepoli non s’accorgano nemmeno di che potenza hanno in mano! Il loro poco, messo nelle mani del loro Maestro, potrà l’infinito: “Allora Gesù prese i pani, dopo aver reso grazie li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano”. Lasciare le proprie mani in buone mani: questo è il segreto. Certe mani, infatti, sono fatte apposta per abitarci: per questo ci rimani. Le mani di Cristo oggi sanno di pane.



Quando consacro l’ostia, a volte mi guardo le mani che tengono in mano il pezzo di pane e penso a quante storie ci sono dentro. A quello che hanno visto, sentito e che, magari, gli occhi non sanno nemmeno raccontare. Ci sono parole che solo le mani sanno come si fa a pronunciarle senza disperderne la loro eco: “Raccogliete i pezzi avanzati, perchè nulla vada perduto”.

Avanzano addirittura pezzi: qualche evangelista parla addirittura di ceste piene di pezzi avanzati. Un elogio dello spreco o un calcolo sbagliato delle misure da parte del Cristo? Non la prima, non la seconda. La terza: Gesù si preoccupa che anche agli ultimi sia assicurata la stessa possibilità di scelta dei primi, visto che “gli ultimi mangiano se i primi hanno creanza” diceva la nonna. Che nessuno debba accontentarsi delle briciole: a ciascuno venga assicurata la stessa possibilità di scelta dentro. Si risvegliano anche i fornai dormienti: “Questi è davvero il profeta” (cfr Gv 6,1-15). Quando si dice che qualcuno ti conosce meglio ancora di come tu conosci te stesso.

 

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