La sfida di ciò che non sazia

Per Cristo sembra poco persino l'aver moltiplicato i pani e i pesci, se chi lo segue non fa i conti con la sterminata domanda di vita che porta in cuore

L’episodio è di quelli sentiti mille volte e, quindi, potremmo averlo già liquidato nella cantina delle cose già sapute. Ma proviamo a immedesimarci per un attimo in ciò che è accaduto quel giorno.

Molta gente sta seguendo Gesù perché ha visto i segni che compiva sugli infermi. Amici, parenti o persone sconosciute che, all’improvviso, ricominciavano a vivere senza più impicci. Come una macchina coi motori al massimo che, finalmente, può iniziare la sua corsa perché qualcuno ha tolto il freno a mano. Anche chi non aveva infermità da cui guarire lo seguiva, perché vedeva un’altra guarigione possibile: quella dalla mancanza di senso e di gusto per la vita. Non folle di malati nella carne, ma folle di gente bisognosa di vivere sul serio.



Gesù sta camminando coi suoi discepoli. Passa all’altra riva del mare di Galilea, sale sul monte e si siede. E la folla? Come fare con tutta quella gente che è lì e non ha da mangiare, perché lo sta seguendo da tempo non accorgendosi nemmeno del tempo che passa?

L’evangelista Giovanni riporta un particolare strano. Anziché andare nel panico per la sproporzione delle risorse rispetto al numero della gente, Gesù approfitta della situazione per “mettere alla prova” i suoi, e domanda: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Non perde l’occasione per farli crescere. Possiamo ben immaginare le facce dei discepoli davanti a quell’interrogativo. Filippo azzarda una risposta: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Della serie: “Non possiamo fare niente con quello che abbiamo”. Andrea rincara la dose: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Sono stati spettatori, più di tutta la gente presente, di miracoli e segni, eppure non riescono a concepire nulla che superi la loro misura. Tutto sembra niente ai loro occhi.



Senza perdere tempo in spiegazioni, Cristo compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che quel ragazzo aveva con sé. Il Vangelo racconta che, non solo mangiarono tutti, ma che avanzarono dodici canestri di pani e pesci. Pare di sentire ancora il silenzio dei discepoli alla vista dell’accaduto.

Finisce così? No. Il racconto si conclude con la “fuga” di Gesù in solitudine perché, a motivo del miracolo, volevano farlo re. Il potere non si nega a nessuno, se fa qualcosa per noi. Così il racconto ci presenta prima Gesù coi suoi, poi con la folla e, alla fine, da solo. Questa progressione è interessante perché, in un certo senso, descrive il destino della misura di Dio nel mondo: la solitudine. Solo Lui è in grado di provocare i suoi rischiando che non capiscano e che se ne vadano. E solo Lui è disposto ad accettare questo rischio, pur di far sperimentare il centuplo della sua misura a chi è disposto ad assecondarla. È troppo poco il potere, troppo poco diventare re, troppo poco persino l’aver moltiplicato i pani e i pesci, se chi lo segue non fa i conti con la sterminata domanda di vita che porta in cuore.



È di quella domanda che Lui desidera diventare interlocutore, è quella domanda che occorre sia sempre risvegliata dai dettagli del quotidiano nei quali sperimentiamo, come scrive san Paolo nella seconda lettura della Liturgia odierna, che c’è: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

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