Fra le ragioni per cui l’ipotesi di Governo tecnico in Francia appare irrealistica vi è certamente il semipresidenzialismo: Emmanuel Macron, più che i suoi predecessori, è da sette anni un Presidente fondamentalmente tecnico e gli elettori lo hanno bocciato. Difficile che – in un’Assemblea nazionale priva di maggioranza ma sicuramente polarizzata – l’Eliseo delegittimato sia in grado di indicare una figura super partes su cui almeno i partiti del cosiddetto “Fronte repubblicano” anti-lepeinista accettino di far convergere i loro voti. Ma soprattutto: Premier istituzionali come Mario Monti o Mario Draghi in Italia hanno avuto agende politico-economiche definite (l’austerity anti-spread nel 2011 e il Pnrr nel 2021); in entrambi i casi dettate dall’Ue e sospinte dai mercati.
Per la verità la Francia odierna è alle prese con analoghi “compiti a casa”, come ha certificato la stessa Commissione di Bruxelles, che ha affiancato Parigi a Roma in una procedura d’infrazione per deficit eccessivo (che qualunque Governo s’insedierà a Matignon dopo il secondo turno elettorale dovrà affrontare come priorità). Se l’Italia ha fatto a tempo tredici anni fa a varare un’impegnativa riforma delle pensioni, ha avuto poi anche il tempo di compiere altre scelte problematiche e discutibili, all’ombra della sospensione-Covid dei parametri di stabilità.
Il Reddito di cittadinanza e il Superbonus – oltre a “Quota 100” – sono stati i timbri indelebili di tre anni di Governo a guida M5S (per un anno con la Lega, poi con il Pd). Se oggi alcuni commentatori avvicinano il candidato Premier di RN Jordan Bardella al pentastellato Luigi Di Maio (che nel 2018 raccolse il 32% alle politiche e fu inizialmente Vicepremier/superministro dello Sviluppo), è agli annali che il Reddito è stata un’invenzione-brand di pronto assistenzialismo targata M5S, cui si è aggiunto il Superbonus, basico stimolo statalista “risciacquato” di transizione verde e quindi di patina europeista.
In sé il sostegno ai redditi di fasce deboli sempre più larghe e il rilancio dell’economia a qualsiasi costo (“quando l’edilizia va tutto il Paese va” è una ricetta messa a punto dalla Francia dell’800) sembrano un programma di politica economica fatto e finito per un possibile Governo del Fronte repubblicano: se avesse successo la massiccia scommessa di Macron sulle desistenze ai ballottaggi domenica prossima.
Le incognite però non mancano. La prima sta nella leadership politica di una simile traiettoria, qualora praticabile nei numeri parlamentari. Uno dei fallimenti più recenti e cocenti dell’Eliseo ha riguardato una prima riforma delle pensioni: respinta in piazza dalle forze politico-sindacali cui oggi Macron sta facendo appello contro RN. E l’avvio di una politica eco-energetica aggressiva e ideologica ha procurato al Presidente l’opposizione dura dei “gilet gialli” (da entrambi i lati dell’elettorato francese) già nel suo primo mandato. Dopo la crisi energetica geopolitica, Macron ha rapidamente sterzato verso il rilancio del nucleare (in cui la Francia è leader in Europa), ma – ancora una volta – è un’opzione indigesta per le sinistre: così come il re-investimento nell’industria militare. Un tavolo fra Macron e il leader della “France Insoumise” Jean-Luc Melenchon si profilerebbe quindi più imprevedibile di quello che nel 2013 vide il leader Pd Pierluigi Bersani e i vertici M5S discutere senza successo un possibile “campo largo” a sinistra.
Ma soprattutto: una Ue di profonda tradizione “franco-tedesca” è stata finora indulgente con i conti di Parigi. Potrebbe continuare a esserlo la Commissione “von der Leyen 2″ (modellata in extremis dallo stesso Macron)? Sulla carta no, ma non è del tutto da escludere: tanto più che perfino la maggioranza rosso-verde di Olaf Scholz in Germania è sempre meno a suo agio entro i comandamenti rigoristi in campo finanziario.
È evidente come in questo scenario in certo ed evolutivo, l'”esprit de lois” cambierebbe per tutti: le logiche politiche e tecnocratiche dell’Europa registrerebbero forti rottura di continuità (di fatto con il ripensamento completo della governance economico-finanziaria). E se Macron dovrebbe fronteggiare sicure accuse di “falso ideologico”, è forse invece comprensibile l’attendismo della Premier italiana Giorgia Meloni: soprattutto se a Roma – come si continua a congetturare – dovesse essere assegnata una delle tre vicepresidenze esecutive di “Ursula”, con un portafoglio economico.
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