Venezuela, che fare dopo i brogli?

Il risultato delle elezioni presidenziali non basta a riportare la democrazia in Venezuela: servirà un processo di transizione non facile

Il populismo, come ogni fenomeno umano, non è ermetico, anche se lo sembra. Per molti anni, molta gente può vivere in una realtà fake, ma arriva un momento in cui si apre una piccola crepa nella bolla dell’ideologia e poi la diga di contenimento finisce per rompersi. Questo è esattamente quello che è successo in Venezuela domenica. Anche se Maduro non ha voluto riconoscere la vittoria dell’opposizione alle elezioni presidenziali. Il chavismo, infatti, è ricorso a una grave frode elettorale visto che vi sono più indizi circa una vittoria di Edmundo Gonzalez Urrutia con almeno 20 punti di scarto, ben al di sopra del 50% dei voti.



Negli ultimi 25 anni, il chavismo ha avuto il sostegno di una percentuale sufficiente della popolazione per restare in piedi. Nonostante la miseria, la violenza, l’assoluta mancanza di libertà, nonostante il Venezuela sia progressivamente diventato un narco-Stato in cui le autorità non controllano aree importanti del Paese, nonostante tutto questo il mito del leader che rifonda la storia ha continuato a funzionare. È un mito tipicamente latinoamericano, creato e alimentato a partire dai processi di indipendenza dell’inizio del XIX secolo. Al centro del mito c’è sempre un leader che costruisce un mondo nuovo. In realtà non fa politica, ma utopia.



Se ora inizia una lunga e faticosa transizione verso la democrazia è perché il populismo, come ogni fenomeno umano, non ci isola per sempre dai fatti. Persino nei più ostinati dei sistemi chiusi. Anche i più tradizionali sostenitori del chavismo nella sinistra latinoamericana hanno isolato Maduro, cui resta solamente il supporto degli stalinismi caraibici di Nicaragua e Cuba. Anche Lula, il Presidente brasiliano, ha chiesto a Maduro di rispettare il risultato elettorale.

La transizione non sarà facile. L’insediamento della nuova presidenza non è previsto prima del gennaio 2025. Ci sono quasi sei mesi in cui Maduro può inventare qualunque cosa. Ad esempio, una guerra per il territorio di Essequibo, che il Venezuela contende alla Guyana. Non a caso, durante la campagna elettorale, Maduro ha parlato della necessità di votare per il partito di governo per evitare un bagno di sangue.



Il chavismo controlla il Parlamento e praticamente tutte le fonti del potere: le forze armate, la polizia, il sistema di giustizia elettorale e la Corte Suprema. Se non rinuncerà al potere, la tensione aumenterà. Per questo, come in ogni transizione intelligente e com’è avvenuto nel caso della Transizione spagnola, è necessario che settori del chavismo siano disposti a cambiare. È essenziale non “criminalizzare” coloro che hanno creduto a lungo nell’utopia populista. C’è chi suggerisce che la soluzione ragionevole sarebbe un accordo generale per indire elezioni generali. L’assemblea uscita da quelle elezioni potrebbe cominciare a rinnovare le istituzioni. Ma questo non sarebbe sufficiente: la democrazia non può ritornare né restare in piedi senza il rafforzamento della dimensione relazionale: l’altro, gli altri, sono essenziali per costruire il presente e il futuro. Fortunatamente il popolo venezuelano è pacifico e stanco dello scontro.

La democrazia, per avanzare, come avvenne anche in Spagna negli anni ’70, ha bisogno di essere associata a un miglioramento delle condizioni di vita, a un miglioramento dell’economia. Solo un grande patto permetterebbe di tenere sotto controllo l’inflazione, una delle più alte del mondo. È necessario fermare la svalutazione della moneta, rilanciare la produzione petrolifera e conquistare la fiducia degli investitori locali e stranieri. Un Venezuela libero è vicino.

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