Il botta e risposta tra Elisa Di Francisca, campionessa olimpionica di scherma, e Benedetta Pilato, arrivata quarta nel femminile 100 stile rana ai Giochi di Parigi, bene si inserisce nelle considerazioni mosse qualche giorno fa circa l’arrivo all’età adulta della cosiddetta Generazione Z. Il corso degli eventi, infatti, ha supportato in modo sorprendente ed emblematico le osservazioni formulate.



Elisa Di Francisca, classe 1982, è una millennial cresciuta all’interno della cultura della performance. I valori umani e sociali da lei promossi sono tutti improntati alla logica del risultato, del numero. È per questo che, quando l’altra sera, al termine della gara del femminile 100 stile rana, Benedetta Pilato ha mancato il terzo posto di pochissimi centesimi di secondo, la Di Francisca era profondamente delusa e dispiaciuta per le sorti sportive della connazionale.



Il punto è che la delusione si è velocemente trasformata in stupore e disappunto nel momento in cui la nuotatrice, classe 2005, ha dichiarato ai microfoni della stampa che quel risultato rappresentava per lei il giorno più bello della sua vita. Frase che certamente raccontava la capacità dell’atleta di guardare in prospettiva a Los Angeles 2028, ma che affermava nettamente anche una scala valoriale alternativa a quella dei millennial.

In questa nuova gerarchia di valori al primo posto sta la mobilità, ossia – in questo caso – la considerazione di un risultato al di là del suo valore assoluto, ma nell’ottica della vivibilità. I giovani adulti della Gen Z non sono affezionati al lavoro a tutti i costi, se questi costi sono i salari giudicati bassi e il sacrificio del proprio tempo libero. Allo stesso modo anche i risultati sono messi in relazione al prezzo che occorre pagare per poterli ottenere. Se – sostiene la Pilato – due anni fa quella gara non era neanche possibile sostenerla con le condizioni fisiche che essa avrebbe richiesto, e oggi invece non solo la si sostiene, ma si sfiora addirittura il podio, ci troviamo di fronte ad un grande successo.



È un altro metro, è un’altra misura. Con parole semplici si potrebbe dire che avanza una generazione che mette la libertà individuale e la realizzazione umana al primo posto. Non solo: questa generazione chiede che entrambi questi criteri diventino criteri sociali. Niente può ostacolare la libertà individuale e tutto deve essere fatto per la realizzazione umana. Per cui parole come salario minimo, diritti individuali, politiche green, pace a Gaza, non sono per questi ragazzi e per queste ragazze “mantra della sinistra globale”, ma un nuovo patrimonio genetico che non si batte nelle urne, che non si argina con le leggi, ma che chiede di essere conosciuto e incontrato.

Finché ce ne staremo col broncio, come la Di Francisca, a chiederci se “questa ci è o ci fa”, finché occuperemo l’angolino di chi a questa deriva non piace, saremo condannati a stare all’angolo e ad occupare una ridotta. Si profilano nella storia due modelli di società: il fortino, che a livello ecclesiale è stato ben descritto dai teorici dell’opzione Benedetto, o le case sparse, che hanno il proprio punto di forza in quella forza della coscienza descritta da Adrien Candiard in diversi suoi interventi.

Il tempo nuovo, che si spalanca in questa seconda parte del XXI secolo, non ci chiede di essere d’accordo su tutto e non ci deve chiedere neppure una svolta modernista. Non si tratta di fare come la conferenza episcopale tedesca che – a forza di riforme – non riesce più a trovare i contorni della propria identità, ma di mettersi in un atteggiamento di chi vuole davvero collegare le posizioni espresse da questi ragazzi con l’esperienza umana che le genera.

Solo dialogando con quell’esperienza sarà possibile costruire un punto di incontro e di fattiva costruzione di un bene comune che non è mai l’insieme dei beni individuali, bensì il riconoscimento di un bene che viene prima delle istanze dei singoli. Certamente l’esasperazione della libertà individuale impensierisce molto. Eppure, essa è frutto di un dilagare del capitalismo che è avvenuto in occidente mentre la Chiesa combatteva aspramente l’ateismo marxista. Questi ragazzi sono nostri figli. Il fatto che ce ne sia qualche migliaio che non è così, non ci elimina la necessità di conoscere e dialogare. È facile fare i polemici dietro una tastiera, è difficile – invece – mettere le mani in pasta. Per incontrare Benedetta e scoprire che cosa ci sia dietro alla gioia di essere arrivati quarti.

 

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