Il mondo è da millenni che si sta contorcendo riflettendo se sia nato prima l’uovo o prima la gallina. Cristo, da parte sua, invece che offrire una risposta, si diverte a rilanciare la sfida, aumentando la posta in palio: “Scusate: siamo noi a cercare Dio, gente, oppure è Dio a cercare noi?”. Tutta la storia cristiana vive sul crinale di questo quesito: tra noi e Dio chi è che fa il primo passo?
La risposta è scritta dappertutto: prima ancora che in noi s’accenda la consapevolezza che lo stiamo cercando, Lui ha già mosso i primi passi per venirci incontro. In qualsiasi caos la nostra anima sia andata a ficcarsi. Trovare qualcuno che ti cerchi anche quando tu stesso non vorresti più esser trovato: questo è lasciarsi sedurre. È la tecnica che frastorna i cuori al punto da cedere al suo corteggiamento: ci attira a sé, esattamente come un innamorato, attraverso la figura di Cristo. E quando l’uomo inizia ad accorgersi, ormai è troppo tardi anche solamente per cercare di sfuggirgli via.
La seduzione, d’altra parte, è un gioco sulla scacchiera del cuore: il gioco della seduzione, però, è per menti superiori e incomincia sempre da un piccolo dettaglio del quale, ovviamente, i più manco s’accorgono. Il Dio cristiano lo sa bene che la seduzione è un’arma a tutti gli effetti: pochi, però, sanno come usarla per portare a casa la pelle dell’orso. Conquistare il cuore dell’innamorato: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato»: Detto con la laicità di uno come Voltaire: «Non è abbastanza conquistare: uno dovrà imparare a sedurre». La seduzione, dunque, è un’arte a tutti gli effetti.
La reazione migliore, nell’incanto della seduzione, è di cederle il cuore. Ne fece le spese un pezzo da novanta come Geremia, l’uomo che tentò in più modi e a più riprese di non rimanerne invischiato, fallendo il suo obiettivo: «Tu mi hai sedotto, Signore, io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso» (Ger 20,7), lasciò scritto con sincerità di cuore, di penna.
La reazione minima per poter dire di non aver barato nella partita a scacchi della seduzione è di prestarle ascolto, essere disposti a (ri)mettersi in gioco continuamente. “Non c’è più sordo di chi non vuole ascoltare” diceva nonna. Oggi, Vangelo alla mano, varrebbe la pena di ritoccare il proverbio: “Non c’è più sordo di chi non vuol lasciarti parlare”. È il vecchio trucco di chi pensa di conoscere Cristo troppo bene perché lo frequenta da parecchio: «Non è forse, Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?». Solita tiritera della gente abituata: sappiamo bene chi è lui: «Come può dunque dire: “Sono disceso dal cielo?».
La gente, la gente di chiesa, non ascolta: aspetta soltanto il suo turno per parlare. Non ascolta nemmeno più la parola del suo Dio, gli tappa la bocca ancor prima che finisca: “Sappiamo già quello che ci vuole dire. Sono sempre le solite cose”. È una legge dell’anatomia: i muscoli più piccoli del corpo umano sono nelle orecchie. È per questo, forse, che dovremmo allenarci molto per imparare ad ascoltare: ci vuole coraggio per alzarsi e parlare, lo stesso per sedersi e ascoltare. Per non sbagliare direzione.
Il colpo finale è da manuale. Perfetta attrazione fatale: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,41-51). Tradotto che capisca bene anch’io: la vita eterna – che tutti, sotto-sotto, desideriamo – è un qualcosa che inizia già da qui. Da quella piccola “riserva” di immortalità che ci viene offerta compressa nell’Ostia che il prete ci pone nelle mani. E che noi, a volte distrattamente, deglutiamo senza capirci granché. Senza renderci conto di un fatto che desta scandalo ai sensi umani: senza che ci accorgiamo, a colpi di pane come fossero passi di ballerina, quel Pane ci seduce.
L’altro pane, quello che la gente rinfaccia come fosse uno slogan a Cristo – “Si, però, la mamma nel deserto: quella sì ch’era squisita!” – era poco più che una morbida mollica. Qui, invece, solo a pensarci un istante, c’è Cristo in persona. Così onnipotente da mettersi in mano nostra. Accettando l’accoglienza che (forse) gli riserveremo.
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