Cosa vuol dire vivere?

Cristo propone sé stesso come il senso di tutto. Un senso che si fa pane, carne. Fu così che spiazzò i Giudei. Per chi invece Lo fa suo, la vita cambia

Davanti alle sfide che quotidianamente la realtà ci riserva spesso sorge la domanda: cosa vuol dire vivere? Spesso, infatti, siamo spiazzati proprio da ciò che crediamo già di sapere. Il percorso dei Vangeli di queste domeniche ci documenta la preoccupazione di Cristo nel far emergere esattamente questa questione. Gesù non ha nessuna intenzione di risparmiare ai suoi, e ai Giudei che lo ascoltano, tutto il percorso che devono fare per dare un nome al significato del vivere, e costringe tutti a verificare un’ipotesi: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.



Propone sé stesso come la sostanza di tutto. Prima ancora che per ciò che dice e ciò che fa, Gesù si mostra per quel che è. Tanto che nei Giudei sorge subito la domanda: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. È un dialogo che ha tutte le caratteristiche della sfida, perché Gesù sa bene che se non si arriva a fare i conti con la verità di sé, prima o poi di Lui rimarrebbe un ricordo, facilmente rimpiazzabile con altro. Per questo non molla la presa: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”.



Solo pensare alla portata rivoluzionaria di quella proposta, alla quale noi siamo fin troppo abituati, mette i brividi. Colui che è disceso dal Cielo ha voluto farsi nutrimento reale e concreto per ogni uomo, inserendoci così nell’alveo della sua stessa origine: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”.

Don Luigi Giussani, in una lezione del 1968, delineò con precisione il cuore dell’impatto che Cristo ebbe sull’uomo: “Il cristianesimo è un avvenimento. La cristianità è un solco socio-storico, ma il cristianesimo è un avvenimento. La cristianità sono forme articolate, ma li cristianesimo è un avvenimento. Diciamoci allora: come hanno fatto a incominciare a credere? In che cosa è consistito quell’avvenimento che ha destato un tale interesse, ha determinato una tale impressione che la gente per la prima volta ha rischiato con ciò che le stava davanti, che la gente per la prima volta ha avuto la fede accesa dentro, che il cristiano è incominciato a essere nel mondo? Quale è stato quell’avvenimento, di che tipo fu quell’avvenimento? Non credettero perché Cristo parlava dicendo quelle cose, non credettero perché Cristo fece quei miracoli, non credettero perché Cristo citava i profeti, non credettero perché Cristo risuscitò i morti. Quanta gente, la stragrande maggioranza, lo sentì parlare così, gli sentì dire quelle parole, lo vide fare quei miracoli, e l’avvenimento non accadde per loro. L’avvenimento fu qualcosa di cui il miracolo o il discorso erano articoli, erano segmenti, erano fattori, ma fu qualcosa d’altro, di più, di così diverso che al discorso e al miracolo diede il loro significato. Credettero per quello che Cristo apparve. Credettero per quella presenza, non per questo o quello che fece e che disse. Credettero per una presenza” (Luigi Giussani, Una rivoluzione di sé, Rizzoli, 2024, p. 74).



Il sintomo dell’adesione a ciò che Cristo è lo troviamo sintetizzato in questa frase: “La gente per la prima volta ha rischiato con ciò che le stava davanti”. Non c’è altra strada, per non mancare il significato del vivere, per scoprire cos’è la vita, se non la scoperta stupita della Sua presenza, che infiamma a tal punto il nostro umano da desiderare il rischio con tutto ciò che abbiamo davanti. Solo da uomini e donne così può nascere un popolo di gente libera, tutta presa dall’Essenziale.

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