L’estate che, almeno a livello sociale, si avvia alla conclusione è stata caratterizzata da diverse tragedie, che hanno colpito giovani e meno giovani al mare o in montagna, e diversi atti di violenza che hanno insanguinato tante vite, soprattutto di ragazzi e di donne. Il male e la violenza sono due costanti che accompagnano l’essere umano da sempre, eppure è difficile abituarsi all’irrazionalità degli eventi, al cattivo comportamento di chi amiamo e che è nostro padre, nostra madre, nostro figlio, nostra figlia, nostro marito, nostra moglie o nostro amico.



Perché c’è qualcosa che sfugge così tanto alla razionalità umana da configurarsi come tragico e terribile: perché siamo così capaci di farci del male? Una risposta chiara ed esauriente non esiste, ma nel patrimonio biblico possiamo attingere ad alcuni pozzi che ci aiutino a guardare a quello che succede con uno sguardo nuovo. Il primo pozzo si trova, ovviamente, nel libro della Genesi, in quel racconto che gli studiosi definiscono “eziologia metastorica” e che non è altro che la ricerca di una spiegazione profonda degli avvenimenti attraverso un’immagine capace di travalicare la storia.



Adamo ed Eva, posti dentro il giardino, sono incapaci di stare nella relazione con Dio. Questa loro incapacità diventa, automaticamente, impossibilità a vivere nel giardino stesso. Il peccato originale è un’ultima sfiducia dell’uomo verso il legame con Dio, una sfiducia che lo porta ad una fatica verso la realtà e verso le richieste della vita. Non siamo capaci di fidarci davvero, di amare per sempre, di costruire insieme, di dare credito ai talenti gli uni degli altri perché siamo tutti feriti da un male oscuro che sta prima di noi, sta dentro di noi. È utile precisare che questa incapacità non è soltanto esteriore: l’uomo non sa stare nel giardino della sua paura, della sua solitudine, del suo dolore o della sua rabbia. E per questo diventa violento.



È interessante, allora, prendere in mano i versetti successivi a questo testo, sempre del libro della Genesi. In essi Dio scopre il peccato di Adamo e chiede conto a tutti gli attori della vicenda circa la loro condotta e le loro azioni: nessuno sembra in grado di prendersi le proprie responsabilità. Il peccato, quindi, non è solo un’incapacità a stare dentro di sé o fuori di sé, non è soltanto l’incapacità a vivere pienamente il rapporto con Dio, ma è anche il sottrarsi alle proprie responsabilità, il non saper dire “sono stato io”, “è colpa mia”, “scusa”. Questo appesantisce i rapporti umani e li rende tutti esposti alla menzogna, a quelle bugie che diciamo pensando di cavarcela, ma che – in realtà – alimentano il peso di rapporti e sentimenti che facciamo fatica a reggere.

Alla luce di questo, c’è un ultimo testo importante da esaminare e riguarda gli effetti ultimi del peccato. La Bibbia lo racconta nel libro della Genesi al capitolo 4. La storia è quella di Caino e Abele. Quello che sorprende di questi due fratelli, destinati a essere protagonisti della prima scena omicida del libro biblico, è che Caino e Abele dimostrano entrambi di non sentire il dolore dell’altro. Abele, chiamato il Giusto, non percepisce il dolore e la rabbia del fratello quando esso viene messo da Dio in secondo piano per la perversione dell’offerta che aveva prodotto. Allo stesso modo, Caino uccide Abele senza sentire minimamente il dolore del fratello, senza compassione e pietà.

Tante persone che quest’estate sono morte per mano di altri uomini e di altre donne hanno vissuto la stessa sorte: sono state uccise da una mano che non percepiva il loro dolore. In ogni casa, in ogni ufficio, in ogni facoltà, in ogni scuola cominciamo a farci del male reciprocamente quando smettiamo di sentire e di comprendere il dolore degli altri. Quando diventiamo crudeli.

Il male nasce da una lontananza da Dio che si trasforma in una lontananza dalla realtà, da noi stessi e dal cuore dell’altro. Si potrebbe obiettare, infine, che questo non rende conto dei tanti dolori tragici di cui abbiamo letto in queste settimane. Il male innocente colpisce sempre, lascia attoniti, rende quasi increduli rispetto alla stessa possibilità di bene dentro la vita. Dio non vuole il male, Dio non genera il male. Colpisce un brano molto noto del Cantico dei cantici in cui la sposa, nel cuore della notte, trova il proprio letto vuoto. Questo vuoto diventa per lei l’origine della disperazione: è come se dicesse “qui non c’è nessuno ad amarmi”.

Ed è questo che accade quando una persona cara è strappata via: facciamo l’esperienza del letto vuoto, dell’amore impossibile. Dio non risponde al dolore con una spiegazione, ma solo venendoci a cercare. Per tanti è stata un’estate impegnativa, di grandi emozioni o di terribili domande. L’inizio del nuovo anno può essere un’occasione incredibile per mettere in atto la cosa più importante che l’uomo possa fare: iniziare ad aspettare il bene nel giardino in cui Dio lo ha messo.

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