Il fallimento, a essere sinceri, è su più fronti. Tanto che Gesù, dopo la sua bella moltiplicazione dei pani e dei pesci, decide di andarsene via da tutto quel via-vai di gente che lo pressa in ogni posto. E poche soddisfazioni gli rende: la poco incoraggiante voglia di farlo re, più che inorgoglirlo lo fa imbestialire assai: “Ma per chi mi hanno preso, questi?” borbotta tra sé mentre si allontana a più non posso da loro.
Va detto che è una delusione su due fronti. La delusione da parte della folla che prende il suo messaggio che sta sotto a quel bel miracolo e lo stravolge a suo uso e consumo. Delusione anche da parte dei suoi amici più intimi: Marco, narrando lo stesso miracolo, precisa che gli amici – ricordiamo che sono i primi dodici preti della storia! – per non avere grane con quel fiume di gente, consigliano all’Amico di mandarli a casa prima del tramonto: rimane uno squisitissimo modo di ragionare cristiano. Eppure il suo messaggio è cristallino: “Avete visto cos’ha fatto quell’adolescente? Invece che dire: ‘Pancia mia fatti capanna?’ ha messo a disposizione il poco che aveva per cercare di sfamare tutti” prova a farli ragionare. Niente! Capiscono il contrario: che ci penserà Gesù a risolvere i problemi che sorgono. Si può continuare a vivere a rimorchio.
Sconsolato, Cristo s’allontana verso Cafarnao, ma lo braccano di lì a poco: “Rabbì, quando sei venuto qua?“. La risposta è intellettualmente onesta: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati“. Dio, ancora oggi, è Dio se risolve il miei casini, altrimenti non è più il mio Dio, il Dio che cercavo: la storia, questa storia, è vecchia come il mondo.
Nessun problema, comunque, per chi decide di allinearsi al pensiero di Cristo strada facendo: meglio tardi che mai. Lo specifica Gesù stesso: “Che crediate in Colui che egli ha mandato” risponde quando gli chiedono che cosa devono compiere per fare le opere del Padre. La cosa da fare non è un fatto di manualità, è un mistero del cuore: credere. È ora di smetterla con questa storia dei segni: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo?“. Ancora con questa storia dei segni, del ricatto, della crocifissione di Cristo con le pretese: e se mostrare l’ennesimo segno fosse una violazione della libertà?
L’uomo, anche la donna, non crederebbero più con il cuore ma perché Dio li ha costretti con un segno. Basta segni, insomma: “Non vi basta quello dei pani e dei pesci? Ancora ne volete prima di credermi? Non ci sto a questo gioco al massacro: l’ultimo, per chi non ha voglia di credere, sarà sempre il penultimo. Non ci cado nel tranello!”. Detto in parole serie: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna“. Meno palestre più monasteri, insomma: perché il corpo – al quale si dedica un’infinità d’attenzioni, di cure – è destinato ai vermi, ma l’anima è per l’eterno. Meno eyeliner più silenzio: Cristo è chirurgico.
Insistono, porca miseria: “Mosè sì che era un grande: ci ha mantenuto per quarant’anni con pane gratis” gli rinfacciano. A parte il fatto che Mosè consegnò solamente il pane (il fornaio era Dio), resta il fatto che adesso Dio sta dando più di allora: sta dando Gesù stesso, in persona. Loro, che alla fine siamo noi, non capiscono granché se chiedono: “Signore, dacci sempre questo pane” (cfr Gv 6,24-35). Però lo chiedono come si chiede il reddito di cittadinanza, un vitalizio: una scorciatoia perché i nostri problemi sia Dio a risolverli. O chi per lui.
Non è una preghiera la loro: è l’ennesimo tentativo di chiedere senza dare nulla in cambio. Senza fare il minimo sforzo per avvicinarsi a ciò che sta chiedendo Gesù: di convertire il loro cuore. Niente da fare: siccome lui è Cristo, allora lui deve dare. A prescindere, altrimenti non è più il Cristo al quale facciamo il piacere di credere.
Morale della storia: Cristo sembra farsi un po’ desiderare, la folla (e gli amici) paiono sempre più capricciosi. Per sapere chi vincerà, basterà alzare l’asticella ancora un po’.
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