In giorni di minacciosi scrolloni dei mercati globali, il sistema finanziario italiano è attraversato da specifici momenti di tensione e pressione.

Il Governo – fra “ballon d’essai” e smentite di circostanza – sta valutando se riproporre una tassa straordinaria sui profitti registrati dalle grandi banche: molto importanti anche nei bilanci 2023 e nei risultati di metà 2024, appena annunciati. L’anno scorso l’Esecutivo, alla sua prima manovra annuale, finì per ritirare l’ipotesi: per la reazione delle autorità creditizie (Bce e Bankitalia eccepirono possibili indebolimenti patrimoniali del sistema), ma soprattutto per la contrarietà dei mercati, cui anche le grandi banche italiane tornarono a distribuire dividendi pingui dopo un biennio Covid all’asciutto.  Dodici mesi dopo lo scenario è lo stesso, con contorni accentuati: il quadro della finanza pubblica è oltremodo difficile (anche per il ripristino dei parametri Ue, con l’Italia già in procedura d’infrazione per alto deficit), mentre le grandi banche – non solo in Italia – hanno raggiunto massimi storici in Borsa. Hanno continuato a essere trainate dalla politica monetaria restrittiva “antinflazione” della Bce, che solo ora si sta accingendo a ridurre i tassi per rilanciare l’economia europea.



La posizione di chi insiste per un prelievo straordinario – sulle banche come su altri gruppi che in generale hanno beneficiato delle turbolenze geopolitiche – mantiene una sua fondatezza politico-economica: ancorché discutibile, come sempre in una democrazia di mercato. Sul mercato i profitti sono sempre privati, ma quelli realizzati negli ultimi due anni da gruppi bancari o energetici sono stati in parte frutto di decisioni pubbliche. Scelte di Governi nazionali o di organizzazioni sovranazionali che hanno comportato un aumento del costo della vita per i consumatori e hanno tolto libertà alle leve fiscali, mentre i depositanti delle banche raramente si sono visti riconoscere una remunerazione correlata con la crescita dei tassi.



Nel frattempo una notizia ha scosso di rimbalzo il comparto nazionale della gestione del risparmio. BnpParibas (che in Italia vanta una presenza diretta rilevante attraverso Bnl) ha deciso di acquisire l’intera divisione di asset management di Axa, leader europeo delle assicurazioni, operante sul mercato italiano e fra l’altro partner di Mps, di cui è stata fino al 2023 azionista stabile. L’operazione – da 5 miliardi di euro – è destinata a formare un polo leader nell’asset management europeo con 1.500 miliardi di euro di masse amministrate. Il passo di BnpParibas mira a competere con un altro gigante francese del risparmio gestito: Amundi, controllato dal Credit Agricole (esso pure presente in Italia con Cariparma). Entrambi guardano alla crescente pressione globale dei colossi statunitensi come Vanguard o Blackrock. Tutto avviene ai confini di un mercato di primo livello europeo come quello italiano: ricchissimo di risparmio delle famiglie (circa 5mila miliardi quella detenuta in attività finanziarie); ma anche capace di generare player importanti. Fineco e Mediolanum, Banca Generali e Azimut sono i nomi principali, in mezzo a un sistema bancario tradizionale di per sé votato alla raccolta di risparmio. E non a caso si tratta di etichette-titolo molto valorizzate a Piazza Affari e al centro a loro volta di voci di interessi esterni.



Le due differenti prospettive sembrano comunque suggerire all’Esecutivo un’attenzione non episodica: non derivata dalle esigenze del budget 2025. Nel merito, favorire le riaggregazioni nel settore – con un approccio non conflittuale – potrebbe essere la premessa per iniziative innovative, “win win”: ad esempio, il cantiere di un “fondo sovrano” italiano di cui si discute da tempo, non solo attorno alla Cassa depositi e prestiti. Se una parte dei “superprofitti” del 2022-24 vanno prelevati, è meglio se essi vengono dirottati come “investimenti” in un veicolo di sviluppo dell’Azienda-Paese. E se in Italia vi sono nell’asset management aziende, competenze e quote di mercato significative sarebbe solo dannoso intervenire ex post con l’utilizzo dei “golden power”. In Francia – per di più in una fase di vuoto di potere politico-istituzionale – due “campioni nazionali” hanno costruito un’operazione-Paese le cui onde d’urto sono destinate ad arrivare anche a sud delle Alpi.

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